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Il governo Berlusconi distrutto da crisi

In questi ultimi tempi, il governo di destra capeggiato dal Primo Ministro Silvio Berlusconi (Forza Italia) è immerso nella piú profonda crisi degli ultimi tre anni dal suo insediamento. Osservatori di politica italiana stanno sempre piú domandandosi se il governo riuscirá a completare il suo mandato fino al 2006, o se si andrà alle elezioni anticipate.

In seguito a pressioni da due degli alleati nella coalizione, i neo-fascisti Alleanza Nazionale e i Democristiani UDC, il 3 luglio Berlusconi ha dimesso il ministro delle finanze Giulio Tremonti. Due settimane dopo, il capo del terzo partito membro della coalizione, Umberto Bossi della Lega Nord, ha annunciato le sue dimissioni dal governo.

La Lega Nord, che fu strumentale nella caduta del primo governo Berlusconi nel 1994, ha detto tuttavia che non si ritirerà completamente dal governo. Bossi, il quale ha subito un grave infarto il marzo scorso e da allora resta in ospedale, si sposterà a Strasburgo per assumere la carica di deputato europeo. Tuttavia, la Lega Nord ha minacciato di abbandonare il governo del tutto nel caso che i piani della riforma federale non vengano attuati entro settembre di quest’anno. Le proposte di federalismo hanno ricevuto forti resistenze da Alleanza Nazionale e UDC.

Conflitti interni

La crisi attuale ha portato alla luce gravi conflitti che esistevano già dalla presa di potere della coalizione di destra. Alcuni commentatori già stanno parlando di una “guerriglia” all’interno del governo.

Uno dei punti focali in discussione è il conflitto fra coloro che favoriscono un forte stato centralizzato (Alleanza Nazionale e, anche se meno, l’UDC) e coloro i quali propongono larga autonomia alle regioni (in primo posto la Lega Nord). In discussione è anche il conflitto fra interessi imprenditoriali nel nord piú industrializzato e ricco da una parte, e il sud, sempre piú impoverito, dall’altra.

La Lega Nord è organizzata esclusivamente nel nord Italia dove Forza Italia di Berlusconi tuttora detiene vasto potere ed influenza, mentre Alleanza Nazionale e UDC hanno radici profonde nel sud. Sebbene Forza Italia non sia in accordo con le esagerate pretese separatiste della Lega Nord, entrambi i partiti hanno negoziato vari compromessi quando si trattava di riduzione di tasse per imprenditori e ricchi o tagli di aiuti finanziari destinati al sud.

Il ministro di economia e finanza Tremonti era l’impersonificazione di questa politica. Si è fatto una reputazione per aver promosso tagli fiscali sulla ricchezza, su profitti e alti redditi. Durante il primo e breve governo Berlusconi, Tremonti aveva già garantito sostanziali benefici di decine di milioni di euro all’impero finanziario del capo di governo.

Dal loro canto, Alleanza Nazionale e UDC temono che questa politica di sacrificio del tesoro di stato insieme a riduzioni di sussidi finanziari potrebbe alienare i loro elettori nel sud Italia. Entrambi i partiti, quindi, si propongono come ligi sostenitori di una rigida disciplina fiscale.

Le cose sono precipitate quando, nonostante un deficit che aumenta senza controllo e la minaccia di sanzioni economiche da parte dell’Unione Europea (UE), Tremonti ha insistito su un ulteriore taglio fiscale di 7 miliardi di euro in favore dei piú abbienti. L’UDC ha proposto le dimissioni di Tremonti come un ultimatum, e Berlusconi eventualmente è stato costretto a concedere quando Gianfranco Fini ha dato sostegno alla richiesta di dimissioni per Tremonti.

Tuttavia, la crisi non è finita. Berlusconi ha personalmente preso controllo di tutte le mansioni di Tremonti ed ha annunciato che avrebbe diretto i ministeri dell’economia e della finanza fino alla fine dell’anno. Il capo dell’UDC Marco Follini ha protestato immediatamente contro questa concentrazione di potere senza precedenti. Ha richiesto l’immediata designazione di un nuovo ministro delle finanze e una soluzione del conflitto di interessi che deriva dal fatto che Berlusconi è allo stesso tempo primo ministro, proprietario del piú grande conglomerato di media e il piú ricco imprenditore del paese.

Berlusconi ha risposto con un tentativo di intimidire Follini, minacciando di attaccarlo personalmente su tutti i suoi canali Mediaset. Follini ha quindi parlato pubblicamente contro il governo davanti al comitato dei mass media, la commissione di controllo del parlamento, e ha votato con l’opposizione per la nomina di nuovi dirigenti della RAI entro la fine di settembre al piú tardi. Attualmente, la dirigenza della RAI consiste di un gruppo di quattro membri che sono assolutamente fedeli al governo. Il presidente della RAI, Lucia Annunziata, si è dimessa a maggio scorso in segno di protesta per il continuo intervento di Berlusconi negli affari del canale.

Eventualmente, Berlusconi è riuscito a pacare il conflitto fra Fini e Follini. Ha offerto a Follini la posizione di vice primo ministro mentre a Fini, precedentemente vice, il ministero dell’economia, fermo restando il ministero delle finanze in mano a Berlusconi. Fini non ha accettato la proposta e ha richiesto entrambi i ministeri dell’economia e della finanza.

Finalmente il 16 luglio un compromesso veniva raggiunto quando Berlusconi nominava Domenico Siniscalco, professore torinese di economia e legge, ministro dell’economia e della finanza. Sebbene la decisione appare come una concessione agli alleati della coalizione di governo, considerando che Siniscalco non è un membro di Forza Italia, il tecnocrate è percepito come un peso leggero in politica, facilmente influenzabile da Berlusconi. Negli ultimi tre anni, questo esperto qualificato di privatizzazione ha lavorato a braccetto con Tremonti nel ministero della finanza, curando politiche monetarie e controllo delle banche.

Le dimissioni di Bossi sono giunte come una reazione immediata al compromesso raggiunto fra Berlusconi, Follini e Fini. Il primo ministro ha visitato un convalescente Bossi in Svizzera implorando il dirigente della Lega Nord di non dimettersi—masenza successo. Si prevede quindi un altro round per l’attuale crisi di governo.

Conseguenze delle elezioni europee

Nel passato, Berlusconi è riuscito in varie occasioni a superare le profonde differenze fra i partiti della sua coalizione. Ciò è stato possible alla luce del fatto che il suo partito era nettamente il piú numeroso nel parlamento, e anche perché i suoi alleati nella coalizione potevano contare sul sostegno del suo impero mediale. Inoltre, una nuova legge elettorale che sfavorisce piccoli partiti minacciava di spingere i suoi alleati nel buio politico nel caso che la coalizione si rompesse.

Il risultato delle elezioni europee di giugno, tuttavia, ha dato un colpo decisivo al fragile equilibrio della coalizione di destra. Lo stesso partito di Berlusconi ha subito una perdita pesante come conseguenza del suo supporto per la guerra in Irak e di una crescente opposizione alla politica di governo che senza nemmeno discrezione continua ad ungere le tasche della classe piú ricca. Allo stesso tempo, vaste masse di popolazione sono state colpite da disoccupazione, perdita di posti in servizi pubblici, aumento dei prezzi e diminuzione di programmi sociali e di assistenza pubblica.

Berlusconi aveva predetto una percentuale di voti di “almeno il 25 per cento”. In realtà, il partito ha vinto solo il 21 per cento nonostante le poderose risorse finanziarie e mediali a disposizione del partito per manipolare la pubblica opinione. Paragonato alle europee del 1999, Forza Italia ha perso più del 4 per cento—in comparazione alle parlamentari di maggio 2001 dell’8,4 per cento. Gli alleati della sua coalizione sono stati in grado di mantenere i propri voti e in alcuni casi addirittura di aumentarli. I Democratici Cristiani hanno raddoppiato i loro voti con un 5,9 per cento, sebbene Berlusconi aveva dichiarato: “Non votate per i partiti piccoli. Votate solo per me!”

Nelle elezioni locali avvenute allo stesso tempo, Forza Italia ha perso il controllo di alcune grandi città, come Bari, Bologna, Firenze e Siracusa. A Bologna, il candidato di Forza Italia è stato esautorato dalla carica di sindaco dall’ex dirigente sindacale Sergio Cofferati, e a Milano, fortezza di Berlusconi, un candidato di centrosinistra è riuscito a sconfiggere il rappresentante di Forza Italia.

Dov’è l’opposizione?

Il governo Berlusconi è riuscito a mantenere il potere a causa di una mancanza di una vera opposizione. La cosiddetta opposizione di centrosinistra capeggiata da Romano Prodi, che ha partecipato alle europee sotto il nome “Uniti nell’Ulivo”, teme che qualunque azione decisa potrebbe incoraggiare la classe lavoratrice e provocare conseguenze imprevedibili.

Già durante le proteste di massa contro la guerra in Irak, e in particolare contro la partecipazione di truppe italiane nell’occupazione dell’Irak, l’alleanza dell’Ulivo aveva dimostrato di essere pronta ad avallare la presenza di truppe italiane qualora le Nazioni Unite fossero state designate ad un ruolo determinante nella regione. Piero Fassino lo rese chiaro in parlamento. Fassino è a capo dei Democratici di Sinistra (precedentemente il Partito Comunista Italiano di stampo stalinista), il partito più grande nell’alleanza dell’Ulivo. In alcune manifestazioni contro la guerra a Roma, Fassino venne fischiato e costretto ad andarsene dal palco a causa della sua posizione politica.

I Democratici di Sinistra hanno riposto le loro speranze nel nuovo capo della Confindustria, Conte Luca Cordero di Montezemolo, il quale ha recentemente sostituito un sostenitore di Berlusconi come capo della federazione degli imprenditori. Montezemolo ha indicato di essere preparato a lavorare in tandem con i sindacati, ed ha accusato il governo Berlusconi di cattiva gestione e di aver causato danni agli interessi del paese. Da quando ha espresso questi giudizi, Montezemolo è stato dipinto come un nuovo raggio di speranza per il paese.

L’esperto economista Pierluigi Bersani dei Democratici di Sinistra ha dichiarato, ad esempio, che il nuovo capo della Confindustria rappresenta “una nuova era del capitalismo italiano”. “Nella sua apparenza e programma, Montezemolo esprime una nuova dinamica degli imprenditori, i quali non vogliono nulla a che fare con gli attacchi contro il sindacato CGIL o con le barbare regolamentazioni dei tagli fiscali”. Giorgio Cremaschi, rappresentante di sinistra della CGIL, ha chiesto: “Stiamo andando verso una situazione migliore? Stiamo iniziando a vedere i frutti delle lotte?”

In realtà Montezemolo è l’antitesi di un uomo di sinistra. Il capo della Ferrari lo scorso maggio ha acquisito il controllo della Fiat. Come grande imprenditore, è un avversario di Berlusconi il quale aveva sperato di poter aumentare la sua influenza sulla Fiat dopo le morti di Gianni e Umberto Agnelli.

Inoltre, Montezemolo rappresenta gli interessi della borghesia italiana tradizionale, che guarda con disdegno il processo di sfacciato autoarricchimento dei nouveau riche intorno al “Cavaliere”, il quale ha le sue buone connessioni con la Mafia.

Un reportage della Confesercenti ha recentemente portato alla luce che un numero sempre piú elevato di imprenditori, commercianti e venditori italiani—oltre a liberi professionisti, dottori e avvocati—cadono regolarmente vittime della Mafia. La criminalità organizzata costa all’economia italiana un totale di 63 miliardi di euro all’anno. Questa è un’altra ragione per cui una sezione della borghesia italiana si sta sempre di piú allontanando da Berlusconi.

Un altro fattore da considerare è che i sindacati hanno già dimostrato sotto i governi di centrosinistra di Prodi e D’Alema di essere pronti a sostenere ogni attacco alla classe lavoratrice, purché il governo sia preparato a collaborare. Sotto il precedente governo dell’Ulivo, lo smantellamento dello stato di assistenza sociale avvenne piú facilmente che sotto Berlusconi.

La vera politica del capo della Confindustria è stata rivelata la scorsa settimana, quando ha invitato il presidente della CGIL presentandogli un “memorandum sulla crescita e lo sviluppo” che contiene le direttive per accordi su tariffe. Il memorandum propone che salari, orari e condizioni di lavoro siano collegati ai profitti dell’imprenditore, e in caso di conflitto la funzione dei sindacati sarà quella di evitare conflitti con i lavoratori.

Gli impiegati della Fiat, ad esempio, protestano da due anni contro ridondanze di massa e chiusure di fabbriche. Per mesi, migliaia di lavoratori della Fiat sono stati collocati in Cassa Integrazione—una sorta di agenzia di collocamento a breve termine che prepara il lavoratore alla disoccupazione. Migliaia di altri lavoratori Fiat hanno perso il posto e sono stati derubati di qualsiasi prospettiva futura.

All’inizio di luglio, varie città italiane erano ancora una volta paralizzate da uno sciopero generale dei lavoratori del settore pubblico—con partecipazione quasi unanime dei lavoratori, particolarmente a Milano, Roma e Napoli. Anteriormente manifestazioni di massa contro la guerra in Irak presero forme militanti che includevano attività di sabotaggio e boicottaggio.

I politici dell’Ulivo stanno semplicemente speculando che Montezemolo darà il suo appoggio ad un cambio di governo che permetta loro di prendere potere. Uno sviluppo del genere non cambierà assolutamente la situazione per i lavoratori.

Rifondazione Comunista

Il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti fondamentalmente difende la stessa prospettiva. Sebbene Rifondazione ha ottenuto piú del 6 per cento dei voti alle europee ed è emerso come il quarto partito piú importante, Bertinotti ha adocchiato un posto come ministro in un futuro governo dell’Ulivo e non a caso ha rinunciato a criticare il blocco di centrosinistra e il candidato di vertice per il posto di primo ministro-Romano Prodi, presidente dell’Unione Europea.

In un’intervista con il Corriere della Sera il 15 giugno 2004, Bertinotti dichiarava: “Voglio unire entrambe le sinistre [Ulivo e Rifondazione] e non tenterò di usare i miei poteri in negoziazioni contro Prodi… Voglio concentrare tutti gli sforzi sull’impresa già difficile di un programma unito.”

Sta cercando a tutti i costi di “causare il collasso del muro fra la lista elettorale Uniti nell’Ulivo [Democratici di Sinistra, Margherita, Social Democratici e Repubblicani] e la sinistra alternativa.” La sua preferenza resta per una “coalizione di forze democratiche”.

Il suo modello per tale avventura è ben noto. Fra il 1993 e il 1998, Bertinotti diede supporto ai governi di centrosinistra capeggiati da Prodi e Massimo D’Alema, i quali cominciarono un programma di tagli di pensioni, privatizzazioni massicce e vari altri attacchi alla classe lavoratrice, il tutto piú tardi ripreso da Berlusconi. Una nuova riedizione di tale modello di governo di centrosinistra che includa un Ministro Bertinotti servirebbe solo ad intensificare questo tipo di attacchi.

Le grandi masse riusciranno a respingere tali offensive solo attraverso l’organizzazione sulla base di un programma socialista internazionale indipendente da organizzazioni radicali composte da ex stalinisti e piccolo-borghesi.