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La strumentalizzazione di una tragedia personale e le sue implicazioni politiche

Italia: Il caso di Eluana Englaro

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 19 febbraio 2009.

Nel gennaio 1992, la ventenne Eluana Englaro fu coinvolta in un terribile incidente d’auto che la condannò ad uno stato vegetativo permanente. La corteccia cerebrale della giovane andò in necrosi e, un anno dopo, i dottori furono unanimamente concordi nel dichiarare l’irreversibilità delle sue condizioni.

La sua vita, per i diciassette anni successivi, fu ridotta a un tubicino che la alimentava attraverso il naso, un’attività motoria incosciente (tremore di labbra, apertura degli occhi non in grado di vedere, braccia e gambe spasmodiche), un clistere al mattino e un po’ di ore seduta su una sedia a rotelle, legata per prevenirne la caduta.

Suo padre Beppino ha scritto svariate lettere aperte a vari rappresentanti di governo facendo appello per ottenere l’autorizzazione a portare a termine la più difficile e tragica azione della sua vita: onorare il desiderio di sua figlia di rifiutare una non-vita. Nessuno dei politici ha mai risposto a sostegno del suo appello.

Il signor Englaro cominciò una lunga battaglia legale che alla fine si risolse con la decisione della Corte d’Appello di Milano del luglio 2008, confermata dalla Corte Costituzionale nell’ottobre 2008, che sancì l’interruzione dell’alimentazione forzata.

La decisione della corte era basata principalmente su due scoperte essenziali: una determinazione scientifica che la condizione fisica era irreversibile e l’evidenza che, se consapevole, Eluana avrebbe voluto interrompere l’alimentazione artificiale, in quanto lei stessa lo aveva esplicitamente espresso ai suoi genitori prima dell’incidente.

Questa sentenza, assolutamente ragionevole e umana, ha scatenato una crociata da parte della destra, condotta dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal Vaticano, con la complicità dei mass media, contro la magistratura e contro il padre di Eluana, comprese insinuazioni che quest’ultimo stava uccidendo sua figlia.

Nell’ottobre 2008, a causa di una emorragia interna, lo stato vegetativo di Eluana è peggiorato ulteriormente. Il 9 febbraio di quest’anno, pochi giorni dopo che il suo tubicino di alimentazione è stato staccato, è morta.

In un clima politico sano, una tale triste circostanza sarebbe rimasta affare privato della famiglia del paziente. Il fatto che questa tragedia sia divenuta il centro dell’attenzione dei media e un’occasione per sordide manovre politiche fa luce sullo stato della classe dirigente italiana.

L’opinione pubblica italiana è stata fortemente solidale con la difficile decisione del padre, in netto contrasto con la posizione reazionaria assunta dal governo. Sondaggi hanno mostrato che l’81 per cento degli intervistati erano a favore dell’interruzione dell’alimentazione forzata. La maggioranza degli italiani era convinta che i genitori di Eluana avessero provato tutte le opzioni possibili per salvare la loro amata figlia. Per la maggior parte degli italiani il diritto alla fine di una non-vita e la questione della qualità di vita sono prevalsi sul principio, portato all’assoluto, della preservazione della vita.

Il caso di Eluana mette in evidenza il diritto costituzionale di un individuo di rifiutare cure non desiderate per sostenere la sua vita. Il giurista Stefano Rodotà, uno studioso costituzionale, insiste che, malgrado la mancanza di un testo esplicito, la struttura legale per la tutela di questo diritto è stabilita da un numero di sentenze; in primo luogo, una emessa dalla Corte di Cassazione nell’ottobre 2007, che è interamente applicabile al caso di Eluana Englaro. Quella sentenza ha confermato il diritto per un individuo di “rifiutare aiuti medici e morire con dignità”.

All’indomani della sentenza della Corte d’Appello del luglio 2008, svariati politici e rappresentanti del clero hanno iniziato una frenetica campagna su base religiosa per contrastare il distacco del supporto vitale.

Mentre il Vaticano ha parlato di assassinio per mano del padre e dello Stato, Berlusconi ha messo in mostra la sua ostinazione ignorante e antiscientifica dichiarando che Eluana non soltanto era viva, ma anche in grado di generare bambini.

A un certo punto, il governatore della Lombardia (dove Eluana era in cura), in un palese atto di insubordinazione alla decisione della corte, ha dichiarato la non disponibilità delle strutture ospedaliere della regione di portare a termine la sentenza giudiziaria. I genitori di Eluana sono stati costretti a portarla a Udine nelle prime ore del 3 febbraio, in una struttura che era disposta a mettere in atto la sentenza della corte, permettendo la sospensione dell’alimentazione.

Non appena il tubicino di Eluana è stato rimosso, Berlusconi ha emesso un decreto per sospendere il processo e ripristinare l’alimentazione tramite tubo. Il Presidente Giorgio Napolitano ha posto il veto al decreto a causa della sua incostituzionalità. Nella sua risposta a Berlusconi, Napolitano ha toccato una questione costituzionale cruciale, accusando il Presidente del Consiglio di aver calpestato il principio della separazione dei poteri. Un ordine esecutivo era stato emesso per ribaltare la decisione della magistratura.

Dato che la Costituzione Italiana tutela i diritti di Eluana e dei suoi genitori, e la stragrande maggioranza della popolazione ha approvato la questione etica, nasce spontanea una domanda: perché il governo si è imbarcato in una campagna aggressiva contro il diritto di sospendere l’alimentazione artificiale?

La lezione che si ricava da questa vicenda è inequivocabile: lo stato è deliberatamente intervenuto in una questione di carattere strettamente personale. Ciò costituisce un attacco frontale al diritto democratico alla privacy. Inoltre, l’imposizione dei valori religiosi sui diritti degli individui e’ uno sfacciato ripudio del principio di separazione tra stato e chiesa, che minaccia di far sprofondare la società nell’oscurantismo pre-illuminista.

Nella coalizione di destra del governo Berlusconi, Gianfranco Fini, presidente del partito neo-fascista Alleanza Nazionale (AN), ha lievemente espresso disaccordo rispetto alla posizione del premier, asserendo che solamente i genitori di Eluana (e quindi non lei stessa) avevano il diritto di decidere della sua vita.

Un simile episodio è accaduto negli Stati Uniti nel marzo del 2005, quando l’amministrazione Bush e la destra religiosa hanno cercato di sfruttare il caso di Terry Schiavo, una donna che viveva in uno stato vegetativo da quindici anni prima che il marito, dopo una lunga e difficile battaglia legale, fosse autorizzato a sospendere l’alimentazione artificiale da un ordine della corte di giustizia.

Il caso Schiavo fu uno di quegli eventi nazionali che mise in rilievo il carattere di estrema destra dell’amministrazione Bush e contribuì considerevolmente a un declino della sua popolarità.

Perché Berlusconi ha deciso di impugnare questa causa così impopolare? Per anni ha perseguito una “riforma” della giustizia che prepararerebbe la strada ad uno stato autoritario, dove il potere esecutivo metta in ombra quello legislativo (che già controlla, data la sua attuale maggioranza in parlamento) e il potere giudiziario (Vedi “Presidente della Repubblica Ciampi blocca le‘ riforme’ giudiziarie di Berlusconi).

Come risposta immediata al veto posto da Napolitano, Berlusconi ha dichiarato la sua intenzione di proseguire le modifiche alla Costituzione—un’affermazione che ha successivamente negato, secondo il suo tipico stile dello smentire le sue stesse parole.

Berlusconi è l’impersonificazione di uno strato sociale semi-criminale, il parvenu che disprezza lo stato di diritto. È l’uomo più ricco d’Italia, con un patrimonio stimato di dieci miliardi di dollari. Il suo impero mediatico e finanziario è il risultato di decenni di corruzioni e intrighi all’interno dell’apparato politico. La sua affiliazione alla protofascista loggia massonica P2 (Propaganda 2) gli ha fornito legami potenti, spesso associati alla mafia, che si sono rivelati utilissimi per le sue ambizioni imprenditoriali. La sua amicizia con Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano, due volte Presidente del Consiglio e successivamente incriminato per corruzione, alla fine ha permesso a Berlusconi di diventare il magnate dei media italiani.

Da questo punto di vista l’attacco alla magistratura di Berlusconi è senza dubbio un atto di auto-protezione. Il premier è riuscito a schivare numerose denunce e sentenze giudiziarie. È stato in grado di rendersi inattaccabile da ogni azione legale grazie alla legge sull’immunità, approvata lo scorso luglio, che sancisce come “intoccabili” le quattro più alte cariche dello stato. Ciò non può durare per sempre, poiché le sue macchinazioni hanno prodotto un’immensa opposizione popolare.

Ma c’è un altro elemento importante: come tiranno dei media, Berlusconi ha il potere di attuare un programma di reazione sociale perché ha il potere di confondere e intimidire l’opinione pubblica e così creare le premesse per misure autoritarie. Il suo obiettivo è lo sviluppo di regole da stato di polizia.

Non a caso questa offensiva contro il sistema costituzionale si svolge nel contesto di una profonda crisi economica e sociale. Banche come Unicredit, Intesa e MPS sono state in grado di sopravvivere solo grazie ad iniezioni di capitale da parte di investitori arabi, principalmente della Libia, e a sostegni statali, il più recente dei quali potrebbe raggiungere gli ottanta miliardi di euro.

Come risposta alla crescente opposizione sociale a questi provvedimenti, il governo Berlusconi è in procinto di attuare una serie di misure repressive contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, già approvato dal Senato.

Secondo il decreto, gli immigrati che scelgono di far domanda per un permesso di soggiorno saranno tassati fra gli ottanta e i duecento euro; i medici saranno autorizzati a denunciare gli stranieri “clandestini” che quindi potranno essere espulsi; le persone senza fissa dimora saranno sottoposte a registrazione obbligatoria, mentre delle “ronde di quartiere”, milizie di cittadini, saranno ora legali.

C’è dell’altro. Sulla base di semplici sospetti di affiliazione o di associazione con presunti “terroristi” il governo può ordinare la chiusura di moschee e centri sociali. Il nuovo disegno di legge mira a colpire i siti internet che, agli occhi del Ministero degli Interni, istigano ad un “comportamento criminale e illecito”. L’obiettivo di questa iniziativa è palesemente l’opposizione politica.

Questo attacco ai diritti democratici va di pari passo con la demagogia religiosa della destra, volta a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica da provvedimenti impopolari. Entrambi sono preparativi per una massiccia offensiva contro la classe lavoratrice. In questo contesto, il caso Eluana assume un significato politico preciso e minacciosamente reazionario.