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GM Europa e la lotta globale per il lavoro

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 14 maggio 2009

La minaccia di fallimento di General Motors simboleggia il destino sociale di milioni di lavoratori in condizioni di recessione globale. Essa pone l’urgente necessità di un’offensiva solidale contro i tentativi di imporre l’onere della crisi del capitalismo sulla classe operaia, e di una ribellione politica contro i sindacati e la loro politica di nazionalismo economico.

General Motors sopravvive solo grazie ad un totale di 21 miliardi di dollari di aiuti da parte del governo Obama negli Stati Uniti. Come con i trilioni sprecati in bailout a banche e grandi imprese, i fondi non sono stati stanziati per salvaguardare la vita delle decine di migliaia di lavoratori, ma per garantire gli interessi dei mercati azionari internazionali e delle istituzioni finanziarie. Di conseguenza, la GM sta utilizzando il pericolo di insolvenza per fare pressione verso una massiccia operazione di ristrutturazione negli Stati Uniti al fine di eliminare vari centri operativi europei in Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Svezia, Francia e Russia.

Solo la mobilitazione di tutta la forza lavoro della GM-in stretta e solidale unione con i lavoratori delle compagnie fornitrici della GM e delle società in procinto di acquisire la GM Europa-può sconfiggere un tale attacco globale.

Supporto per un’offensiva del genere già esiste fra lavoratori metalmeccanici. In Francia i “rapimenti” dei dirigenti d’azienda sono una espressione di rabbia e di un diffuso spirito di resistenza, in particolare nel settore auto. I lavoratori hanno organizzato occupazioni e altre azioni industriali a Visteon in Inghilterra e Irlanda del Nord, Caterpillar e Continental in Francia in forma congiunta con lavoratori tedeschi, così come le proteste alle fabbriche della Fiat esposte a rischio.

Ma i sindacati di tutta Europa, come la United Auto Workers (UAW) negli Stati Uniti, hanno lavorato per sopprimere tutte le azioni di questo tipo. Essi si sono allineati con i “loro” governi e con le imprese concorrenti al fine di esigere che la “loro” industria nazionale sia protetta a spese dei lavoratori in altri paesi. In cambio, i sindacati offrono di aiutare la ristrutturazione di Opel, Vauxhall, Saab e i loro fornitori, imponendo perdite di posti di lavoro, accelerazioni e tagli dei salari e delle pensioni.

GM Europa impiega direttamente 55.000 lavoratori. Opel è la fabbrica che impiega il maggior numero. La società italiana Fiat, che impiega oltre 80.000 persone, è il miglior offerente per la Opel. Dopo aver acquisito di recente una quota dal fallimento della società Chrysler, il piano della Fiat è quello di creare una società di 106 miliardi di dollari che la annoveri fra le “Big Five” nel mondo.

Ogni tal mossa sarà diretta a scapito dei lavoratori metalmeccanici. Un piano inaspettatamente emerso rivela che discussioni in Germania avevano inizialmente proposto 18.000 perdite di posti di lavoro e la chiusura di 10 siti di assemblaggio e di componenti. Posti di lavoro tedeschi otterrebbero priorità, mentre l’intera operazione di Vauxhall nel Regno Unito, che impiega oltre 4.000, sarebbe chiusa. L’unico impianto Opel in Belgio, che impiega 2.600 lavoratori, verrebbe altrettanto chiuso, insieme con impianti in Spagna e in Austria e tre stabilimenti Fiat in Italia e in Polonia. Nonostante ciò, verrebbero ulteriormente implementati licenziamenti di massa e chiusure in Germania.

Questa è solo la punta dell’iceberg. Centinaia di migliaia di posti di lavoro sono a rischio in industrie connesse. Ci sono 12 milioni di posti di lavoro che dipendono dall’industria automobilistica nell’Unione Europea, quest’ultima il più grande produttore mondiale di autoveicoli. Oltre sette milioni di posti di lavoro dipendono dalla produzione di auto negli Stati Uniti.

In un’operazione senza precedenti, il capo della Fiat Sergio Marchionne è passato dal suo negoziati con il governo tedesco e le organizzazioni sindacali a una negoziazione con il governo Brown in Gran Bretagna e il sindacato inglese Unite. La Fiat sta facendo pressione per ottenere sette miliardi di euro in sovvenzioni e garanzie su prestiti, oltre a sostanziali concessioni da parte dei sindacati. In assenza di ciò, le prospettive della società sono grame. Il debito dell’azienda in questi ultimi mesi è aumentato a 8, 6 miliardi di dollari e le sue obbligazioni sono state declassate a junk status (cioè di valore pressoché nullo).

La Fiat spera di sfruttare antagonismi nazionali all’interno dell’Europa, oltre alla tendenza collettiva del capitale europeo di competere con gli Stati Uniti e gli altri suoi concorrenti globali. Qualsiasi aiuto governativo sarà volto al fine di intensificare tagli e il perseguimento di una guerra commerciale.

I sindacati condividono questa prospettiva e sono ostili a qualsiasi lotta oltre confine dei lavoratori metalmeccanici, che metta in pericolo la stretta relazione tra i sindacati, i governi e la società.

In Germania, l’IG Metall sta sostenendo una offerta concorrente da Magna, fornitore della Opel austriaco-canadese. In Gran Bretagna, Unite è interessato esclusivamente al destino di Vauxhall, mentre i sindacati italiani si lamentano del fatto che la Fiat non dà sufficiente priorità agli interessi nazionali. In Francia, il sindacato CGT sta facendo una campagna per una “offensiva di vendita” con la Renault, pur lamentando che l’acquisto di autovetture provenienti da altri paesi è ecologicamente fallace.

Il nazionalismo dei sindacati è esemplificato dalla decisione della Confederazione Europea dei Sindacati di organizzare giornate europee di azione tra il 14 e il 16 maggio a Madrid, Bruxelles, Praga e Berlino. La Confederazione non sta proponendo un’azione pan-europea, sollecitando invece che un accordo sulla stregua del “New Deal” sia raggiunto fra i vari governi. La manifestazione organizzata dalla britannica Unite non fa alcuna menzione della situazione dei lavoratori europei, chiedendo che “l’azione del nostro governo difenda la nostra produzione sulla scala dei nostri concorrenti UE”.

I sindacati non sono organizzazioni dei lavoratori. Il reddito e i privilegi della burocrazia sindacale è del tutto separata dalla sorte di quei lavoratori che nominalmente rappresenta, ed è pienamente integrata nelle strutture di gestione aziendale e dello stato. Ciò trova la sua espressione più completa nel potenziale di quota di maggioranza della UAW nella proposta nuova società Chrysler, e la sua assunzione di responsabilità diretta per spingere verso tagli di posti di lavoro e di salari oltre all’eliminazione delle coperture sanitarie e delle pensioni.

Questa trasformazione della UAW in una impresa non è solo un fenomeno americano. In Germania, i rappresentanti sindacali occupano la metà dei posti sulla vigilanza Opel e lavorano fianco a fianco con la società di gestione e il governo. Durante la recente ondata di perdite di posti di lavoro alla BMW in Inghilterra, i rappresentanti sindacali hanno ammesso che avevano nascosto i progetti di licenziamento dai loro membri fino all’ultimo momento.

Qualunque sia il risultato immediato della lotta per la GM Europa e dei suoi vari settori, nessun posto di lavoro è sicuro. I lavoratori vengono messi l’uno contro l’altro in un fratricida corsa verso il basso, in cui non ci saranno vincitori.

Il paragone tra l’attuale crisi economica mondiale e quella del 1930 deve servire come un avvertimento. Ancora una volta, il fallimento del capitalismo sta portando ad una crescita di protezionismo e nazionalismo economico, minacce commerciali e militari.

Le fabbriche di auto devono essere rimosse dal controllo degli operatori privati e trasformate in società di servizi pubblici, democraticamente controllate dai lavoratori stessi e ad essi appartenenti. Solo sulla base di una prospettiva socialista è possibile difendere i moderni impianti automobilistici e produrre automobili ecologiche a prezzi accessibili, sviluppando un nuovo modello di trasporto viabile per il futuro.

La lotta contro le multinazionali organizzate a livello internazionale deve essere essa stessa internazionale. Solamente mobilitando le immense risorse dell’altamente integrata economia europea è possibile soddisfare i bisogni sociali. Ciò significa la lotta per gli Stati Uniti d’Europa come un componente integrale di un più ampio appello ai lavoratori negli USA, Asia, America Latina, e attraverso il mondo per una unità di classe di fronte al nemico comune.

Questa prospettiva può essere realizzata solo attraverso nuove organizzazioni indipendenti, formate attraverso un’estesa ribellione contro le dirigenze sindacali che funzionano come una quinta colonna del management. Ciò richiede la creazione di nuovi partiti socialisti ed internazionalisti della classe lavoratrice per tutta l’Europa, in qualità di sezioni del Comitato Internazionale della Quarta Internazionale.

Partito di Eguaglianza Socialista, Gran Bretagna e Germania