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Attacchi senza precedenti contro i lavoratori Fiat

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in tedesco il 9 novembre 2010 e in inglese il 10 novembre 2010.

Se l’amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, farà come dice lui, i salari alla casa automobilistica italiana saranno equivalenti a quelli in Polonia, con condizioni di lavoro simili a quelle durante la Grande Depressione.

La scorsa settimana, il consiglio di Fiat ha annunciato che presenterà un nuovo contratto per i dipendenti di tutto il gruppo. Si basa su un accordo attuato lo scorso giugno presso lo stabilimento di Pomigliano D’Arco (NA) e comprende orari di lavoro più lunghi, maggiore flessibilità di orari, pause più brevi e un patto di non-sciopero.

Marchionne ha giustificato queste misure drastiche facendo riferimento alla condizione fatiscente delle fabbriche in Italia e gli scarsi risultati della Fiat nel mercato azionario a ottobre. Concorrenza spietata e sovrapproduzione nei mercati automobilistici mondiali, ne hanno fatto una questione di sopravvivenza, ha dichiarato.

Il Gruppo Fiat, che circa due anni fa ha rilevato la casa automobilistica statunitense Chrysler, ha impianti di produzione in tutto il mondo, compresi Polonia, Serbia, Turchia e Brasile. Fiat realizza la maggior parte dei suoi profitti in Brasile, mentre in Europa è in perdita.

Due settimane fa durante una intervista alla RAI, Marchionne aveva minacciato di chiudere gli stabilimenti italiani della Fiat in quanto la società ne avrebbe da guadagnare sul mercato mondiale. Pochi giorni dopo, lo stesso Marchionne ha detto che la società sarebbe pronta ad investire 20 miliardi di euro negli stabilimenti italiani nei prossimi cinque anni, raddoppiando la produzione di automobili, a condizione che i sindacati accettino le sue condizioni.

Parte del piano di Marchionne è quello di aumentare la produttività al livello dello stabilimento di Tychy, in Polonia, dove 6000 dipendenti producono una macchina nuova ogni 35 secondi. Lo stabilimento Fiat in Polonia è uno dei più produttivi d’Europa.

Come parte del progetto “Fabbriche Italia”, Marchionne vuole dividere la società in due settori, che saranno quotati separatamente alla Borsa di Milano dal mese di gennaio. Fiat quindi comprenderà esclusivamente il settore automobilistico, mentre Fiat Industrial si concentrerà sulla produzione di camion (Iveco), macchine agricole (CNH) così come motori e trasmissioni (Powertrain). Lo stabilimento di Termini Imerese verrà chiuso completamente entro il 2011.

Progetto pilota Pomigliano D’Arco

Marchionne sta usando lo stabilimento Fiat di Pomigliano D’Arco come progetto pilota per attacchi a salari e condizioni di lavoro. La disoccupazione al sud è particolarmente elevata. Il fatto che i 4800 dipendenti sono stati ripetutamente costretti ad accettare settimane di “lavoro a tempo ridotto” negli ultimi due anni dimostra il grado di estorsione nelle negoziazioni contrattuali in quella zona.

La scorsa estate, Marchionne ha posto un ultimatum a tutti i lavoratori di Pomigliano D’Arco: o si accettano condizioni di lavoro di gran lunga peggiori, pur mantenendo gli stessi livelli di produttività raggiunti nella fabbrica di Tychy in Polonia, o si chiude lo stabilimento. Con l’accettazione del contratto ha promesso nuovi investimenti di 700 milioni di euro e il trasferimento della produzione del modello Panda da Tychy a Pomigliano D’Arco.

L’ultimatum di Marchionne non si è limitato a sospendere le norme sui contratti . Il contratto che vuole imporre ignora la legge nazionale sul lavoro, introdotta in seguito allo sciopero dei lavoratori aspramente combattuto nell’“ autunno caldo” del 1969. Il divieto di sciopero è anch’esso in contrasto con la Costituzione italiana.

Il nuovo contratto considera il sabato come una normale giornata di lavoro e specifica che ogni lavoratore deve lavorare fino a ottanta ore di straordinario all’anno. Le restrizioni sulle assenze per malattia sono notevolmente rafforzate, e accordi speciali sono aboliti. Le pause sono ridotte di dieci minuti, le norme giuridiche per i lavoratori a turno sono modificate in modo che la fase di recupero sia alla fine di ogni turno. Gli scioperi sono in generale vietati, gli scioperanti potranno essere licenziati, e qualsiasi organizzazione che invochi scioperi potrà essere interdetta dalla fabbrica.

Marchionne ha trovato nei sindacati volenterosi alleati. Quattro dei cinque sindacati metalmeccanici nello stabilimento (Fim, UILM, Fismic e UGL) hanno accettato il contratto; solo la FIOM, che è affiliata alla più grande federazione sindacale CGIL, si è rifiutata di firmare.

È stata condotta una votazione con tutto il personale e, sebbene i lavoratori avessero la spada di Damocle della chiusura dell’impianto, il 36 per cento ha votato contro il nuovo contratto. Questi lavoratori conoscono bene i pericoli della disoccupazione: per anni la fabbrica in Campania ha subito periodi di lavoro a tempo breve, nei quali i lavoratori hanno dovuto vivere con l’elemosina della Cassa integrazione.

Il modello utilizzato dall’Italiano-canadese Marchionne per questi attacchi contro la forza lavoro Fiat è quello degli Stati Uniti. Due anni fa, al culmine della crisi finanziaria mondiale, la Fiat ha rilevato il Gruppo Chrysler e ha poi chiuso diversi stabilimenti, con il pieno supporto del presidente Barack Obama, e in stretta collaborazione con il sindacato metalmeccanico UAW. La UAW ha accettato che i nuovi dipendenti guadagnino il 50 per cento in meno, e hanno concordato un divieto di scioperi pluriennale, per il quali la UAW è stata premiata con una rilevante partecipazione azionaria nella società.

Ora, il consiglio di Fiat vuole ottenere concessioni simili dai sindacati italiani ed europei e introdurre bassi salari, condizioni di lavoro flessibili e accordi di non-sciopero nelle sue fabbriche europee. Le nuove condizioni di lavoro per queste fabbriche sono state discusse il 4 novembre tra Marchionne e le dirigenze della CISL (Raffaele Bonanni) e Uil (Luigi Angeletti), che avevano già approvato il piano di giugno, e i leader dei loro rispettivi sindacati metalmeccanici.

Il sindacato CGIL e la sua ala metalmeccanici FIOM, che non aveva firmato l’accordo relativo a Pomigliano d’Arco, non sono stati invitati. Questi sindacati sono tradizionalmente vicini alle organizzazioni eredi del Partito Comunista Italiano. Con 360.000 membri, secondo le statistiche ufficiali, la FIOM è il più grande sindacato dei metalmeccanici.

Il ruolo della CGIL e di FIOM

L’atteggiamento di FIOM e CGIL non può essere fondamentalmente distinto da quello di sindacati conservatori come UIL e CISL che hanno sostenuto Marchionne sin dall’inizio. Tutti e tre i maggiori sindacati in ultima analisi accettano la drastica ristrutturazione di Fiat e ne sono pienamente partecipi.

Tuttavia, FIOM e CGIL pensano che sia necessario almeno in parte tener conto della rabbia dei lavoratori; vogliono evitare che la resistenza prenda una direzione politica indipendente. Il 16 ottobre, hanno organizzato una manifestazione a Roma che ha coinvolto diverse migliaia di lavoratori, apparentemente per protestare contro gli attacchi da parte di Fiat e le politiche economiche del governo Berlusconi.

Il segretario generale della FIOM Maurizio Landini ha detto: ”... quando si vuole cancellare i diritti, quando si vuole cancellare il contratto, quando si vuole cancellare la dignità delle persone che lavorano, noi diremo sempre di no. ...E vogliamo anche che sia estesa la democrazia.” Il segretario della CGIL Guglielmo Epifani ha anche minacciato uno sciopero generale se il governo non riconoscerà immediatamente le esigenze dei lavoratori.

Ma queste sono parole vuote. In realtà, la FIOM e la CGIL sono da tempo venute a patti con gli attacchi alla Fiat, sapendo che questi stabiliscono lo standard per l’intera economia italiana.

Il fatto che il leader della CGIL Epifani abbia concluso il contratto di Pomigliano d’Arco, anche se la FIOM locale è stata ufficialmente contraria, è cosa ben nota nei media. Epifani ha anche pubblicamente giustificato l’accordo con il fatto che in molte fabbriche le condizioni di lavoro oggi sono molto peggiori.

Il leader della FIOM Landini supporta il progetto di spostare la produzione della Panda dalla Polonia verso l’Italia. “Se c’è qualcuno interessato a che si continui a produrre auto in Italia, siamo noi, i lavoratori”, ha detto alla radio. Ha paragonato la Fiat alla Volkswagen in Germania. Volkswagen ha deliberatamente mantenuto circa metà della sua produzione in Germania, mentre la Fiat ha dislocato tre quarti della sua produzione fuori dall’Italia, ha detto, indicando la sua disponibilità a fare concessioni. Ha cercato di smentire lo stereotipo della “FIOM come organizzazione che è solo capace di dire di no”.

La scorsa settimana, Epifani è stato sostituito al vertice della CGIL dalla cinquantacinquenne milanese Susanna Camusso. Per vent’anni, dal 1977 al 1997, Camusso è stata membro della dirigenza locale, regionale e nazionale della FIOM. Si dice che abbia buoni rapporti con il capo della Confindustria Emma Marcegaglia. “Le due donne si conoscono, e si apprezzano”, scrive il quotidiano svizzero Basler Zeitung.

Camusso si è lamentata del fatto di non essere stata invitata alle recenti discussioni con Marchionne. In una dichiarazione scritta, la dirigente della CGIL ha deplorato la mancata “opportunità di riprendere un dialogo serio”. La decisione da parte della Fiat di aggravare la rottura con la CGIL è preoccupante, perché “denota la volontà di non ricercare quel dialogo”, ha affermato la sindacalista.

Lo stesso giorno, il portavoce della CGIL Vincenzo Scudier ha chiesto una “tavola rotonda sul futuro delle fabbriche in Italia”—una chiara offerta di collaborazione con la Fiat.

La sinistra piccolo-borghese

Soprattutto la sinistra piccolo-borghese, frammentata in decine di organizzazioni in Italia, sta cercando di dipingere FIOM come un’alternativa militante rispetto agli altri sindacati, tradizionalmente più disposti alla collaborazione.

Per esempio, Controcorrente, che appartiene al Comitato per una Internazionale dei Lavoratori (Committee for a Workers’ International, o CWI), sostiene che FIOM rappresenti oggi l’unica forza per rispondere con decisione a questo sviluppo e che ha mostrato resistenza a Berlusconi e Marchionne.

Questo non è solamente falso, ma è anche un deliberato tentativo di distogliere l’attenzione dalle questioni politiche che coinvolgono i lavoratori della Fiat, in Italia e in Europa.

Marchionne, esperto uomo d’affari che ha lavorato come avvocato e manager per imprese in Canada, Stati Uniti e Svizzera (Alusuisse, Lonza, UBS) non agisce da solo alla Fiat. Dietro di lui ci sono l’associazione dei datori di lavoro Confindustria e il governo italiano.

Il presidente di Confindustria Marcegaglia ha sostenuto i piani di Marchionne con le parole: “Sono chiaramente, fin dall’inizio, a supporto della Fiat e non penso che l’azienda voglia lasciare l’Italia.” Il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi è anch’egli intervenuto ripetutamente nel dibattito a favore di Fiat.

La classe dominante vede le nuove condizioni di lavoro alla Fiat come modello per l’Italia, che sta affrontando una profonda crisi. Il Paese è drammaticamente indebitato, e la guerra globale delle valute sta rendendo le condizioni per l’export in Italia molto più difficili. Ad aprile, il governo ha presentato un bilancio di austerità di 24 miliardi di euro; un totale di 300.000 posti di lavoro sono a rischio. La disoccupazione in generale è in aumento, e quella giovanile è al 26, 8 per cento.

La classe dirigente sta cercando di superare la crisi sulle spalle dei lavoratori, e Marchionne sta spianando la strada agli attacchi.

Il Financial Times ha addirittura paragonato il capo della Fiat all’ex primo ministro britannico conservatore “Lady di ferro” Margaret Thatcher: “L’ultimatum di Marchionne ai sindacati—accettare l’accordo o Fiat lascerà l’Italia—ha persino indotto alcuni in Italia a chiedersi se il suo piano possa rappresentare un ’momento Thatcheriano’ simile a quello quando l’ex primo ministro britannico represse lo sciopero dei minatori di carbone nel 1985.”

Gli operai della Fiat possono difendere i loro diritti e le condizioni di lavoro solamente se si liberano dal controllo delle burocrazie sindacali e preparano una lotta politica contro la classe dominante e il suo governo.

Ma questo è proprio quello che i sindacati, i partiti di opposizione e i loro seguaci tra le sinistre piccolo-borghesi vogliono prevenire. Sebbene il premier Berlusconi sia altamente impopolare e impantanato in scandali, essi si oppongono con una campagna per far cadere il suo governo. Lasciano l’iniziativa a Gianfranco Fini, ex fascista, e partner della coalizione di Berlusconi. In questo modo disarmano la classe lavoratrice e creano le condizioni nelle quali la classe dominante può portare un nuovo governo al potere per procedere più duramente dello screditato Berlusconi nei confronti della classe lavoratrice.