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I lavoratori Fiat e il ricatto del management

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in tedesco l’11 gennaio 2011 e in inglese il 12 gennaio 2011

Il 13 e il 14 gennaio, i 5.500 lavoratori dello stabilimento principale di Torino Fiat Mirafiori saranno tenuti a votare su un nuovo contratto di lavoro. Sono ricattati dal management con la minaccia della delocalizzazione se votano contro il contratto, e le organizzazioni sindacali in fabbrica non fanno nulla per difendere i lavoratori.

Il nuovo contratto è sostanzialmente identico a quello imposto ai lavoratori Fiat di Pomigliano D’Arco (NA). Il contratto prevede orari di lavoro flessibili in tre turni, meno pause, e il divieto di sciopero spontaneo. Nel caso in cui i lavoratori votino no, il consiglio di amministrazione dell’azienda ha minacciato di spostare la produzione altrove.

Secondo i dettagli del nuovo contratto: al posto del precedente sistema di 10 turni a settimana, i lavoratori saranno ora chiamati a lavorare 18 turni costituiti da tre turni al giorno a partire da lunedi mattina alle 6 fino alla domenica mattina alle 6 del mattino. Il resto della domenica rimane libero.

L’orario di lavoro è ufficialmente 40 ore settimanali ma, con il nuovo contratto, i lavoratori possono essere chiamati a lavorare fino a 120 ore di straordinario all’anno. Visto che il sabato è un giorno normale di lavoro, è previsto appena un paio di giorni di ferie ogni due settimane. Ogni minuto di lavoro è stato pianificato nei dettagli. Nel corso di ogni turno di otto ore, i lavoratori hanno diritto a solo due (invece di tre) interruzioni di 10 minuti, con i pasti permessi solo alla fine del turno. L’assenza per malattia è rigorosamente limitata e i diritti di malattia ridotti, in quanto la gestione li considera causa di eccessivo assenteismo.

Un accordo simile è stato presentato la scorsa estate ai lavoratori della fabbrica di Pomigliano D’Arco. In quel periodo è stato detto che quel contratto sarebbe stato una “eccezione”, necessaria per impedire il trasferimento del modello Panda all’impianto Fiat di Tichy, in Polonia. Di fronte a quel ricatto, la forza lavoro ha votato il 62 per cento a favore.

Ora l’eccezione sta per diventare la regola per l’impianto principale della compagnia di Torino-Mirafiori. Se il nuovo contratto è imposto anche lì, allora è solo una questione di tempo prima che sia applicata a tutti i 22.000 lavoratori Fiat in Italia. Il contratto di Fiat servirà quindi da modello per l’industria italiana nel suo complesso e potrebbe sostituire l’attuale accordo salariale nazionale, che fu introdotto nel 1970 a seguito di una dura e lunga lotta da parte dei lavoratori Fiat a Torino.

Il nuovo contratto Fiat vìola il contratto nazionale in vigore sotto diversi punti di vista, ad esempio, con la stipula di un elevato numero di ore di lavoro straordinario, il divieto di sciopero e l’esclusione arbitraria dei rappresentanti eletti nelle fabbriche. Il management ha messo in chiaro che riconoscerà soltanto i rappresentanti dei lavoratori che hanno espressamente accettato il nuovo contratto. Ciò significa che i delegati del sindacato Fiom, che è affiliato alla CGIL, non potranno più partecipare ai negoziati e saranno interdetti dalla fabbrica per aver rifiutato di firmare il contratto.

Al fine di eludere l’attuale accordo nazionale, la Fiat si è ritirata da Confindustria. Al tempo stesso, il management Fiat gode del sostegno di molti imprenditori italiani. L’amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, è stato recentement nominato “Imprenditore dell’anno” nel 2010 dal quotidiano pro-governo e pro-business Il Sole 24 Ore. L’offensiva di Marchionne contro gli operai di Torino è stata attentamente seguita non solo da parte della borghesia italiana, ma anche dal governo Berlusconi.

L’attacco contro la forza lavoro all’impianto Mirafiori fa parte di una importante strategia di Marchionne al fine di accaparrarsi quote di mercato globale contro concorrenti come Volkswagen e General Motors e costruttori giapponesi e coreani. A tal fine, ha in programma di ridurre drasticamente i costi, cercando nel contempo una più stretta cooperazione e possibile fusione con la casa automobilistica Chrysler negli Stati Uniti.

All’inizio dell’anno, il gruppo Fiat è stato diviso in due società parallele e quotate in borsa, una per le autovetture e un’altra per i veicoli industriali. La produzione di automobili è ora condotta dalla cosiddetta Fiat SpA, con la Fiat Industrial responsabile dell’ancora redditizia produzione di camion e macchine edili.

A Torino, la Fiat sta progettando di costruire una nuova Jeep e un’Alfa Romeo in una joint venture con Chrysler. L’obiettivo è di raddoppiare la produzione di automobili. Lunedi scorso la Fiat ha aumentato la sua partecipazione in Chrysler dal 20 al 25 per cento in quello che è stato definito un ulteriore passo verso l’ottenimento del pieno controllo del suo partner statunitense. La società ha detto che investirà 1 miliardo di euro per il progetto Fiat-Chrysler nella società madre a Torino-Mirafiori, a patto che i lavoratori voteranno a favore di un maggior grado di sfruttamento.

In un vero e proprio ricatto, Marchionne ha minacciato di sospendere la produzione di auto a Mirafiori: “Se vince il‘ no’ con il 51 per cento, la Fiat non farà l’investimento su Mirafiori” e Chrysler produrrà esclusivamente negli Stati Uniti. Marchionne ha poi elogiato i sindacati americani, che hanno capito “che i posti di lavoro dei dipendenti che rappresentano dipendono dalla capacità della società di avere successo sul mercato”.

A seguito dello scoppio della crisi economica nel 2008, Chrysler e le altre due importanti società automobilistiche degli Stati Uniti sono state temporaneamente poste sotto la direzione del governo Obama, che, in stretta collaborazione con il sindacato United Auto Workers, ha imposto tagli salariali fino al 50 per cento e altri attacchi ai benefici.

Nonostante la grande pressione esercitata sui lavoratori a Torino-Mirafiori, il risultato del referendum resta tutto da vedere. Circa il 15 per cento dei dipendenti sono membri del sindacato Fiom, intorno al 38 per cento appartengono ad altri sindacati e il 47 per cento non sono sindacalizzati.

I sindacati cattolici e “gialli” (Fim, UILM, Fismic e UGL), i quali hanno tutti firmato il nuovo contratto il 23 dicembre, hanno risposto con una campagna per il “sì”. Il presidente della federazione dei sindacati democristiani CISL Raffaele Bonanni, ha dichiarato entusiasticamente che “Quello con Fiat è un accordo importante che garantisce un investimento fondamentale per Torino e per l’Italia. Finalmente si da’ un segnale che si puo’ investire nel nostro paese, con un progetto di grande profilo industriale”.

Durante alcune interviste ai giornali, i dirigenti sindacali hanno perfino affermato che i lavoratori in catena di montaggio potrebbero guadagnare fino a € 300 in più al mese quando l’impianto funziona a pieno regime. Questi burocrati deliberatamente ignorano gli enormi problemi di salute coinvolti in simili ritmi di lavoro giorno e notte.

Il più grande sindacato dei metalmeccanici, la Fiom-CGIL, ha finora rifiutato di firmare il contratto e, come è accaduto a Pomigliano d’Arco, dichiara che il destino è nelle mani dei lavoratori al referendum. Allo stesso tempo, il segretario nazionale CGIL Susanna Camusso ha dichiarato il 2 gennaio a Roma che all’accordo di Mirafiori si può votare no, ma in caso di maggioranza dei sì “bisognerà prendere atto del risultato”.

Pur non avendo ancora firmato il contratto, i funzionari Fiom e CGIL sono comunque fermamente contrari a qualsiasi tipo di opposizione di principio. Il loro appello a uno sciopero di otto ore il 28 gennaio è un gesto patetico indirizzato esclusivamente a dare uno sfogo alla rabbia e alla frustrazione dei lavoratori.

Il Gruppo Fiat ha stabilimenti produttivi in Italia, Polonia, Brasile e Stati Uniti. In tutti questi stabilimenti, i lavoratori sono soggetti a metodi estortivi da parte del management. Invece di unire i lavoratori Fiat alle loro controparti internazionali per mobilitarsi congiuntamente contro questi attacchi, i funzionari sindacali sono interamente incentrati sul miglioramento dei bilanci della società in Italia.

A tal fine, un certo numero di leader Fiom-CGIL ha scritto una lettera affermando che erano alla ricerca di “una più ampia riflessione collettiva circa gli strumenti e le strategie da usare in questa battaglia per riconquistare una adeguato modello di relazioni industriali e di democrazia nei luoghi di lavoro e, attraverso essi, estendere e rafforzare i diritti dei lavoratori”.

I burocrati si basano su un’analisi elaborata da 46 economisti e professori universitari. I 46 docenti universitari, che sono membri del, o comunque vicini al centro-sinistra, criticano il nuovo contratto della Fiat in una lettera aperta dal titolo “Produrre e lavorare meglio, con democrazia”. Il nuovo contratto è descritto come una strategia pre-industriale di Marchionne e della famiglia Agnelli, che non contiene nessuna strategia convincente per il futuro. Al fine di garantire la produzione di auto in Italia, gli autori scrivono, è necessario un impegno molto maggiore sul fronte della ricerca e dello sviluppo.

“L’accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori.”, scrivono. Essi criticano il fatto che la Fiat abbia arbitrariamente aggirato il contratto nazionale ed escluso i sindacati dalla fabbrica. “Esistono alternative”, continuano, facendo riferimento alla tedesca Volkswagen Group, la cui strategia di gestione delle crisi ha portato a un incremento dello sfruttamento della forza lavoro ed è stato elaborato in stretta collaborazione con i sindacati tedeschi.