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Un “NO” nel referendum italiano potrebbe innescare una crisi bancaria

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 29 novembre2016&

L’esito del referendum italiano di domenica prossima, con il quale il primo ministro Matteo Renzi sta cercando di ridurre le dimensioni e il potere del Senato, ha il potenziale per innescare una crisi del sistema bancario italiano, che potrebbe diffondersi alla zona euro nel suo complesso.

Renzi ha sostenuto il referendum, anche minacciando, a un certo punto, di dimettersi qualora il referendum risultasse in “No”. Il premier sta cercando di passare a un governo più autoritario, con una maggiore capacità di far passare riforme neo-liberali pro-business. La ricaduta finanziaria di un “No” potrebbe essere immediata, mettendo in discussione il piano di salvataggio, che è entrato in funzione ieri, per la travagliata banca Monte dei Paschi di Siena.

Secondo il piano di salvataggio, ci sarebbe un debito di 5 miliardi di euro per un’operazione su derivati finanziari (equity swap), accoppiato ad una iniezione di capitale fresco, attraverso il collocamento di azioni sul mercato.

Il Monte dei Paschi, la più antica banca del mondo, è l’espressione più evidente del deterioramento della situazione dell’intero sistema bancario italiano, avendo conseguito il peggiore risultato in un test condotto lo scorso luglio dalla Banca Centrale Europea (BCE).

Il piano di salvataggio è visto come parte di un programma più ampio, con il quale Renzi promuoverebbe “soluzioni di mercato” per i 4 trilioni di euro del sistema bancario italiano, che è gravato da 360 miliardi di euro di valore di crediti deteriorati, di cui 200 miliardi sono considerati irrecuperabili. Ciò in contrasto con un totale di 225 miliardi di capitale proprio del sistema bancario.

Tuttavia, il capitale finanziario richiede che, in cambio di un’iniezione di capitali, il governo Renzi dovrà portare avanti il programma di ristrutturazione che esso esige; questo implica il consolidamento e l’eliminazione di molte piccole banche, che svolgono un ruolo chiave a sostegno delle piccole imprese e un’intensificazione dell’assalto alla posizione sociale della classe lavoratrice.

Riassumendo le idee di sezioni chiave della finanza, una nota, pubblicata all’inizio di questo mese da Peter Donisanu, assistente di ricerca globale al banca statunitense Wells Fargo, ha spiegato che le riforme di Renzi potranno “rendere più facile la messa in atto di legislazione importante (come ad esempio misure a favore del settore bancario in difficoltà), senza la minaccia di un collasso del governo durante periodi di disaccordo politico”.

Un “No” nel referendum sarebbe il segnale che il governo Renzi non può portare avanti questo ordine del giorno. Secondo Goldman Sachs, non solo il piano di salvataggio per il Monte dei Paschi sarà minacciato, ma ci potrebbe essere un effetto domino per altre banche, che dovranno trovare miliardi di euro per ricapitalizzarsi.

Il Monte dei Paschi stesso ha gettato molti dubbi sul piano di salvataggio, in un documento di 146 pagine pubblicato qualche giorno fa, sottolineando la conversione del debito (debt swap) che forma la sua componente chiave. Nel documento si legge: “alla luce della notevole incertezza sul completamento delle diverse parti della transazione complessiva, vi è il rischio che l’operazione stessa non possa riuscire e non possa essere conclusa”.

Le azioni della banca sono scese pochi giorni fa di un ulteriore 13, 8 per cento e hanno perso l’86 per cento del loro valore nel corso dell’ultimo anno.

L’esito del referendum non è ancora chiaro essendo i sondaggi di opinione vietati nelle ultime tre settimane della campagna; ma il più recente sondaggio ha mostrato il “No” in testa di circa 7 punti percentuali. La campagna per il “No”, che comprende un gruppo di partiti di destra nazionalisti e populisti, con il Movimento Cinque Stelle del comico Beppe Grillo, che gioca un ruolo di primo piano, ha ricevuto un notevole impulso dalla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Questi partiti di destra hanno salutato l’ascesa di Trump come una vittoria per il popolo contro le élite politiche e finanziarie.

Le possibili conseguenze di un “No” si estendono a tutto il sistema bancario italiano e alla struttura finanziaria europea nel suo complesso.

Neil Wilson di ETC Capital ha detto a Reuters “Il referendum di domenica sulla riforma costituzionale è il momento Brexit dell’Italia, e un “No” potrebbe mandare enormi onde d’urto attraverso i mercati e il sistema bancario; potrebbe anche accrescere la pressione sull’euro”.

Wilson ha poi anche detto: la sconfitta del referendum renderebbe la revisione del sistema bancario italiano “molto più difficile”, perché gli investitori sarebbero dissuasi dal pompare nel sistema il capitale fresco che è richiesto. “Il rischio di contagio per il resto delle banche italiane ed altri altri istituti di credito europei è alto”.

L’alternativa al piano basato sul mercato finanziario di Renzi è il “dissolvimento” proposto dall’Unione Europea. Ciò comporta la liquidazione delle banche, imponendo perdite a entrambi gli investitori azionari e obbligazionari. L’attuazione di questo piano creerebbe una massiccia opposizione politica, perché molti clienti singoli delle banche italiane sono stati attirati ad acquistare azioni e debiti, quale valida alternativa ai prodotti di risparmio.

Un rapporto importante nel Financial Times, pubblicato domenica, ha avvertito che fino a otto delle banche in difficoltà in Italia potrebbe collassare se il referendum di Renzi è sconfitto. Oltre al Monte dei Paschi, l’elenco comprende tre banche di medie dimensioni e quattro piccole banche che erano state salvate l’anno scorso.

Citando “banchieri e funzionari di alto livello”, il rapporto dichiara che la peggiore delle ipotesi sarebbe quella del fallimento della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi, che si tradurrebbe “in un più ampio fallimento di fiducia nell’Italia”, che metterebbe in pericolo una “soluzione di mercato” per banche in difficoltà. Il rapport avverte che “il contagio” da fallimenti bancari più piccoli “potrebbe minacciare l’aumento di capitale di 13 miliardi di euro a Unicredit, la più grande banca italiana, per le sue attività, e l’unica significativa istituzione finanziaria globale italiana, previsto per l’inizio 2017”.

La crisi bancaria non è limitata all’Italia, ma si estende a tutta Europa. Come ha sottolineato la BCE, nella sua Financial Stability Review pubblicata la scorsa settimana, il “settore bancario euro resta vulnerabile”. I principali problemi strutturali per la redditività delle banche sono “legati alla grande quantità di crediti tossici in un certo numero di paesi”, così come “un eccesso di capacità in qualche settore del sistema bancario europeo”.

I problemi risalgono alla risposta delle autorità europee alla crisi finanziaria globale del 2008. Temendo che il riconoscimento di perdite finanziarie e ristrutturazione del capitale indebolissero la posizione delle banche europee in confronto ai loro potenti rivali, in particolare le istituzioni finanziarie degli Stati Uniti, speravano che un ritorno alla crescita economica avesse permesso alle banche di superare i loro problemi.

Ma la sperata ripresa economica non si è materializzata e, di conseguenza, secondo la revisione della BCE, la redditività delle banche è stata influenzata negativamente da un “contesto di bassa crescita e bassi tassi di interesse”.

In nessun luogo questo è più nettamente espresso che in Italia. Il prodotto interno lordo pro capite è del 9 per cento al di sotto di dove si trovava in termini reali nel 2007 e rimane vicino ai livelli raggiunti due decenni fa. La disoccupazione è all’11 per cento ed è vicino al 40 per cento tra i giovani. Il reddito delle famiglie è inferiore a quello del 2007.

Sono queste le condizioni sociali ed economiche che hanno contribuito ad alimentare l’ascesa dei movimenti populisti di destra, come negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e internazionalmente, sulla base della loro proclamata ostilità verso l’establishment politico e finanziario; come pure l’azione dei partiti ufficiali di “sinistra” che hanno risposto alla crisi finanziaria spostandosi sempre più verso destra.