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Renzi si dimette ufficialmente

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese l’8 dicembre 2016

Matteo Renzi si è dimesso ufficialmente dalla sua posizione mercoledì sera, ma resterà in carica fino alla formazione di un nuovo governo.

Renzi aveva presentato le sue dimissioni lunedì, dopo aver subito una decisiva perdita, nel referendum di domenica, sulla riforma costituzionale. Il Presidente Sergio Mattarella ha “congelato” le dimissioni fino a quando il Senato non avesse approvato il bilancio 2017; e questo è avvenuto mercoledì sera.

A partire dalle 18 di oggi, fino a sabato, al Quirinale, Mattarella condurrà colloqui con i capi di entrambe le camere del Parlamento e i leader dei partiti più importanti. L’obiettivo è la formazione veloce di un governo di transizione. Un potenziale candidato alla carica di Primo Ministro è il ministro delle Finanze in carica, Pier Carlo Padoan; che ha stretti legami con l’Unione Europea (UE). Anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, è stato menzionato come altro possibile candidato.

Renzi stesso ha proposto la formazione di un “governo di stabilità nazionale”, con l’accordo dei partiti maggiori. In caso ciò non si verificasse si andrebbe a nuove elezioni. Intanto Renzi rimane presidente del Partito Democratico (PD) e potrebbe presentarsi come candidato di spicco dello stesso in nuove elezioni.

Lega Nord, Forza Italia di Silvio Berlusconi e il Movimento Cinque Stelle (M5S) di Beppe Grillo hanno tutti dichiarato che sono contro il governo tecnico proposto da Renzi. Chiedono nuove elezioni, da tenersi immediatamente. Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, mercoledì ha inscenato davanti al Senato una dimostrazione punteggiata da manifesti con la scritta “Voto Subito”.

Secondo i media, il presidente Mattarella considera “inconcepibili” nuove elezioni se la legge elettorale non è preventivamente cambiata, dal momento che esistono due sistemi elettorali completamente diversi per le due camere parlamentari. Per la Camera dei Deputati viene applicato il controverso “Italicum”, che è stato adottato in estate e che garantisce al partito con più voti di ricevere la maggioranza dei seggi. Il 24 gennaio 2017 la Corte costituzionale si pronuncerà sulla costituzionalità di tale disposizione.

Al Senato viene invece applicato un sistema di rappresentanza proporzionale, il che beneficia i partiti minori. La fallita proposta di riforma costituzionale del referendum si prefiggeva di eliminare in gran parte il Senato.

Ma non sono solo considerazioni costituzionali che spingono il Presidente a chiedere la formazione di un governo di tecnocrati, piuttosto che indire nuove elezioni. Malgrado i rassicuranti rapporti ufficiali, il sistema finanziario italiano è in una profonda crisi. Le banche sono gravate da € 360 miliardi di crediti inesigibili e devono aumentare in modo significativo il loro capital. L’ indice bancario in Italia è diminuito del 47 per cento dall’inizio dell’anno. Poco dopo l’annuncio del risultato del referendum, i tassi di interesse del debito pubblico sono temporaneamente saliti vertiginosamente.

Importanti istituzioni finanziarie internazionali avevano promesso assistenza, prima del referendum, se la riforma costituzionale avesse avuto successo. Il previsto rafforzamento del ramo esecutivo avrebbe reso più facile la ristrutturazione delle banche, a spese della classe lavoratrice. Dopo il fallimento del referendum, le istituzioni finanziarie internazionali hanno ritirato le loro promesse di iniezioni di capitale.

La più antica banca del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, corre pericolo immediato. A luglio, durante la revisione del suo bilancio da parte dell’UE, aveva ricevuto il peggior punteggio possibile e necessita urgentemente un apporto di capitale di € 5 miliardi, il che, con il rigetto della riforma costituzionale, ora non è più certo.

Ecco perché si richiede un nuovo governo: per prevenire una crisi bancaria incontrollata. Dietro le quinte, gli interessi finanziari internazionali stanno esercitando una pressione immensa e si aspettano che il futuro governo, a prescindere dalla sua composizione, parteciperà al salvataggio delle banche con miliardi di euro; ma qui potrebbero sorgere conflitti con la normativa europea comunitaria.

Pertanto, il Senato mercoledì ha accettato senza indugio il bilancio 2017, con 173 voti a favore e 108 contro. Il bilancio prevede quelle stesse politiche che la maggioranza degli italiani ha respinto domenica; esso ammonta ad una intensificazione delle politiche di Renzi sui tagli al sociale.

Il bilancio prevede solo € 1, 6 miliardi per le vittime dei terremoti, ben al di sotto di ciò che è necessario per far fronte ai peggiori danni causati da tre terremoti negli ultimi mesi.

Sono anche previsti € 1.2 miliardi come accantonamenti per “missioni di pace”, cioè le operazioni militari all’estero. Il bilancio contiene anche numerose esenzioni fiscali per le grandi imprese e propone un aumento dell’IVA dello 0, 9 per cento a partire dal 2019. Una serie di aumenti delle tasse, che sono stati accolti con determinata critica, sono stati rimandati per due anni.

Il bilancio porta il segno distintivo del classico approccio neoliberista alle questioni sociali; allineandosi con le proposte avanzate negli Stati Uniti, i recipienti potranno ottenere le prestazioni sociali sotto forma di “buoni”. Questa riforma influenzerà l’assistenza ai minorenni, le spese di asilo nido e lezioni di musica a scuola. La politica dell’istruzione di Renzi già ha spinto verso la privatizzazione della scuola pubblica.

Un cambiamento più inquietante riguarda le pensioni: i 63enni saranno autorizzati ad andare in pensione, ma contro un prestito bancario, garantito dall’introito della loro futura pensione. Questo renderà inevitabile un ulteriore aumento della povertà in vecchiaia.

La crisi sociale sta assumendo forme sempre più terribili. Secondo gli ultimi dati statistici dell’ISTAT, diffusi il 5 dicembre, 17, 5 milioni di persone sono in prossimità o alla soglia della povertà, il che vuol dire uno su quattro residenti. Ai loro livelli di reddito attuali, la metà di tutte le famiglie con tre o più figli, non è più in grado di soddisfare le esigenze di base della vita, come ad esempio: pasti regolari, un tetto sopra la testa e cure mediche.

Un crescente numero di giovani lascia l’Italia per cercare lavoro altrove: lo scorso anno sono emigrate 147.000 persone, un incremento del’8 per cento rispetto al 2014.