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Dichiarazione elettorale del Partito dell’Uguaglianza Sociale: Per gli Stati Uniti Socialisti di Europa

La seguente dichiarazione è stata redatta dal Partei für Soziale Gleichheit (Partito dell’Uguaglianza Sociale o PSG) in Germania in vista delle prossime elezioni per il Parlamento Europeo. Il PSG si presenta con un gruppo di candidati per le elezioni del 13 giugno in Germania. La dichiarazione verrà tradotta in diverse lingue, e la campagna sarà condotta a livello europeo in collaborazione con il Socialist Equality Party in Gran Bretagna ed altri appartenenti internazionali.

1. Gli obiettivi del Partei für Soziale Gleichheit

Il Partei für Soziale Gleichheit (PSG) si presenta alle elezioni europee del 13 giugno basandosi su un programma socialista internazionale.

La nostra campagna elettorale mira a gettare le basi di un nuovo partito che rappresenti gli interessi della classe lavoratrice, incluendo i pensionati, i disoccupati e i giovani.

Milioni di persone sono seriamente preoccupate dalla situazione politica e stanno cercando un’alternativa. La guerra in Irak ha mostrato che tutti i problemi del secolo scorso che sono rimasti irrisolti si stanno nuovamente emergendo.

Il continuo aumento della disoccupazione e della povertà di massa sta procedendo di pari passo con l’abbattimento dei diritti democratici e la crescente militarizzazione, come se gli eventi dal 1914 al 1945 non c’avessero insegnato nulla.

I partiti socialdemocratici hanno perso ogni pretesa e si sono trasformati in sostenitori di una minuscola elite, la quale continua ad arricchirsi spudoratamente e a saccheggiare la società. Le loro politiche non differiscono più dai partiti borghesi di destra. Per contrastare il fallimento politico della socialdemocrazia, noi proponiamo un principio che è fondamentalmente diverso e cioè mettere in primo piano i fabbisogni del popolo e muoversi verso una società basata sui principi di giustizia ed uguaglianza sociale. Difendiamo tutte le conquiste sociali - pensioni, assistenza sanitaria, istruzione, lavori e remunerazioni sicuri - che sono minacciate dai tagli. Ci opponiamo agli attacchi ai diritti democratici e rifiutiamo la guerra e il militarismo.

La realizzazione di questi obiettivi necessita di un programma politico fondamentalmente opposto a quello di una socialdemocrazia.

* Questi obiettivi non possono essere raggiunti in un contesto nazionale ma devono svolgersi all’ interno di un movimento internazionale contro l’imperialismo.

L’integrazione e l’interdipendenza dell’economia mondiale hanno eroso le basi che reggevano la struttura delle politiche riformiste della socialdemocrazia. Di fronte alle grandi multinazionali e agli istituti finanziari internazionali che dominano la vita economica moderna, l’orientamento delle vecchie organizzazioni dei lavoratori - la difesa dell’industria nazionale e del mercato nazionale del lavoro - ha dimostrato la sua impotenza e, nel tentativo di sopravvivere, ha compiuto una svolta a destra. Laddove prima esercitava pressione sui datori di lavoro e sui governi per assicurare concessioni per i lavoratori, oggi esercita pressione sui lavoratori per ottenere concessioni per i padroni e creare le condizioni più favorevoli per l’afflusso di capitale.

Il tentativo del governo americano di assoggettare il mondo alla sua autorità con la forza è l’espressione più acuta dell’incompatibilità dell’economia mondiale con lo stato-nazione. L’economia globale non può tollerare sovranità nazionali. La guerra in Irak ha rappresentato il primo tentativo di dividere il mondo e creare un nuovo ordine mondiale basato sulle forme più brutali di saccheggiamento e di sfruttamento di stampo capitalista.

Rinchiudersi nella nazione e nella difesa di interessi nazionali non sono le risposte alla globalizzazione e al pericolo di guerra. Sono reazionarie tanto quanto impraticabili. Inquinano il clima fra popoli, incoraggiano tensioni nazionali ed etniche e conducono a guerre continue.

Il PSG propone una vera alternativa: un movimento mondiale di lavoratori, che lega la lotta contro l’imperialismo e contro la guerra alla risoluzione della questione sociale. Si oppone a tutte le divisioni fra i popoli basate su considerazioni di carattere nazionale, etnica o religiosa. All’Unione Europea (UE) - l’Europa delle banche e delle mega-imprese - contrapponiamo gli Stati Uniti Socialisti d’Europa. Anche se i nostri candidati si presentano solo in Germania, la nostra campagna elettorale è indirizzata a tutti i lavoratori di Europa.

Come sezione tedesca di un partito mondiale, il Comitato Internazionale della Quarta Internazionale, il PSG collabora strettamente con le organizzazioni delle sue consorelle, il Socialist Equality Party (SEP) in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Negli USA, il SEP propone i suoi candidati per le elezioni presidenziali di quest’anno contro Repubblicani e Democratici.

* La difesa delle conquiste sociali e dei diritti democratici richiede una riorganizzazione della vita economica secondo principi socialisti.

Più di dieci anni dopo il crollo della Repubblica Democratica Tedesca e dell’Unione Sovietica, è divenuto chiaro che il libero mercato non offre alcuna risposta ai problemi urgenti dell’umanità. La subordinazione di ogni aspetto della vita sociale alle leggi di mercato e al sistema di profitto ha avuto degli effetti devastanti ovunque fossero messi in pratica.

Nell’Europa dell’Est e nella ex Unione Sovietica, l’introduzione di condizioni capitalistiche ha portato ad un declino culturale e sociale mai visto in tempo di pace. Mentre l’infrastruttura sociale si sta disintegrando, e milioni di persone vivono al limite delle sopravvivenza, una manciata di oligarchi controlla una ricchezza nascosta. In Africa e in Asia, intere nazioni stanno sprofondando in povertà e caos. Nei paesi capitalisti più avanzati, le conquiste sociali guadagnate negli anni passati sono diventate preda ad attacchi continui e la differenza fra ricchi e poveri cresce sempre di più.

La socialdemocrazia ha sempre giustificato la sua difesa del capitalismo affermando che esso si poteva riformare negli interessi della classe lavoratrice. Queste ormai si sono rivelate parole vuote. Oggi sono il Partito Socialdemocratico tedesco (SPD) e gli altri partiti socialdemocratici europei che conducono l’attacco alle conquiste sociali e ai diritti democratici sicché non c’è più distinguo tra loro e i conservatori che dichiarano di opporre.

Il PSG propone una trasformazione socialista della vita economica che deve essere determinato non dagli interessi di profitto di una ricca minoranza di capitalisti ma dai fabbisogni della società. L’enorme progresso della tecnologia moderna ha stabilito tutte le condizioni per risolvere i problemi fondamentali della società - come la povertà, l’arretratezza e la distruzione dell’ambiente ma presuppone che esse vengano usate consciamente nell’interesse comune e che non vengano lasciate al caotico principio della massimizzazione dei profitti. A tale fine, le leve dell’economia moderna - le banche e le grandi aziende - devono essere trasformate in proprietà pubblica e poste sotto il controllo democratico.

Il PSG si basa sulle lezioni apprese dal collasso dell’Unione Sovietica. Non fallì il principio pianificatore, ma il tentativo di una burocrazia privilegiata di stabilire entro la struttura nazionale una presunta società socialista usando metodi da despota. La democrazia dei lavoratori e l’accesso alle risorse dell’economia mondiale sono le condizioni sine qua non per la costruzione di una società socialista. Il PSG non ha proposto questa posizione solo con la fine dell’Unione Sovietica, ma lo ha fatto durante tutta la sua storia. Si propone nella tradizione dell’Opposizione di Sinistra che ha combattuto dal 1923 sotto la direzione di Leo Trotski contro la burocrazia stalinista e la sua prospettiva nazionalistica.

* La realizzazione di un programma socialista richiede un movimento politicamente cosciente di larghe sezioni della popolazione lavoratrice.

Il socialismo è incompatibile con la dominazione burocratica. Il vero progresso sociale è possibile solo se la maggior parte della popolazione è coinvolta attivamente nell’organizzazione delle relazioni sociali e le controlla democraticamente. In contrasto, sia lo stalinismo sia la socialdemocrazia rappresenta una tradizione in cui gli apparati burocratici hanno soffocato il potere formativo creativo e storico del movimento dei lavoratori. Perfino durante tempi delle riforme sociali, i partiti socialdemocratici hanno politicamente inibito la loro stessa maggioranza. Oggi consistono di apparati autocratici di funzionari che pensano di essere al di sopra di ogni responsabilità democratica.

L’obiettivo del PSG consiste nel superare questo effetto socialdemocratica paralizzante sul movimento dei lavoratori. Respingiamo i concetti che, per mezzo di pressione sui partiti riformisti sperano di trasformarli o di strappare dalle loro mani quegli elementi cosiddetti progressisti. Tali manovre riescono solamente a garantire a questi partiti una copertura a sinistra, prolungando artificialmente il loro effetto demoralizzante.

Milioni di persone in Europa sentono che le politiche dei partiti istituzionali li hanno condotti in un vicolo cieco, dal quale non v’è via di uscita. Hanno espresso la loro indignazione in numerose proteste, scioperi e manifestazioni. Ma solo una prospettiva politica chiara può unire questa vasta opposizione in un movimento politico efficiente. Ciò presuppone una consapevolezza delle cause e delle forze principali della crisi attuale e le lezioni politiche del ventesimo secolo.

La nostra campagna elettorale mira al lanciare una larga discussione riguardo questi soggetti. Ci appelliamo a tutti coloro che sono d’accordo con il nostro obiettivo di appoggiare la campagna elettorale del PSG. Disseminate il manifesto elettorale, organizzate riunioni per discutere con i candidati del PSG, contribuite finanziariamente al successo della campagna elettorale.

2. Lezioni della guerra in Irak

La guerra in Irak ha bruscamente portato all’attenzione pubblica due cose: gli Stati Uniti sono stati trasformati da una fonte di stabilità internazionale al più rilevante istigatore di instabilità, e i governi europei sono completamente incapaci di opporsi all’imperialismo americano.

In linea di massima, le istituzioni internazionali e le norme di legge internazionale del periodo successivo alla seconda guerra mondiale furono il risultato di iniziative americane. Gli Stati Uniti non agirono altruisticamente. L’appacificamento del mondo occidentale è servita al capitale americano per il suo espansionismo e il rafforzamento del fronte occidentale nella guerra fredda contro l’Unione Sovietica, fornendo in ogni modo stabilità e prevedibilità nelle relazioni internazionali.

Con la guerra contro l’Irak, gli USA hanno reso inequivocabilmente chiaro che non rispettano più queste istituzioni e regole internazionali. Nel perseguire il proprio interesse, contano esclusivamente sulla loro potenza militare. Allo stesso tempo, gli USA non lasciano alcun dubbio che la subordinazione dell’Irak è solamente il primo stadio. L’obiettivo finale è la riorganizzazione dell’intera regione e la costituzione di un nuovo ordine mondiale in base alle necessità del capitale americano. Questo è il contenuto essenziale della nuova dottrina americana di guerra preventiva.

L’Europa reagisce armandosi. Indipendentemente dalla loro posizione riguardo la guerra in Irak, i governi europei sono in accordo riguardo la loro necessità di un’industria bellica indipendente e di una loro capacità militare che li abilita ad intervenire globalmente e condurre le loro guerre preventive.

L’inizio del XXI secolo quindi assomiglia sempre di più all’inizio del XX secolo, quando due guerre devastarono l’Europa e molte parti del mondo. La causa delle due guerre mondiali fu l’incompatibilità del concetto di stato-nazione con un sistema economico che ingloba il mondo intero cosa che i principali studiosi del marxismo all’epoca capirono perfettamente. All’inizio della prima guerra mondiale, Leo Trotski scrisse: “Il senso obiettivo della guerra consiste nel distruggere i centri economici nazionali attuali nel nome dell’economia mondiale. L’imperialismo non si sforza a risolvere ciò sulla base della cooperazione volutamente organizzata della massa produttiva, ma sulla base dello sfruttamento dell’economia mondiale da parte della classe capitalista del paese vincente, il quale cerca in questa guerra l’opportunità di divenire non solo una grande potenza ma una potenza mondiale.”

Ci sono solo due possibilità di risolvere la contraddizione tra l’economia mondiale e lo stato-nazione: la maniera capitalista - riorganizzare il mondo con la forza sotto la supremazia della potenza imperialista più forte - e la maniera socialista - superare lo stato-nazione attraverso una cooperazione pianificata di tutti i popoli su base socialista.

Nel 1914 la Germania, la potenza economica più dinamica del continente, tentò di riorganizzare l’Europa precipitando il continente in un bagno di sangue. L’altra possibilità venne offerta dalla Rivoluzione di Ottobre in Russia. I Bolscevichi vittoriosi si ritirarono immediatamente dalla guerra attraendo enorme popolarità fra i lavoratori di tutta Europa. Ma l’Unione Sovietica era isolata e degenerò sotto le regole ferree di Stalin. Questo, e la sconfitta del movimento operaio in Germania, collocò la Germania in una posizione tale nel 1939 da tentare una seconda volta di assoggettare l’Europa - con conseguenze ancora più catastrofiche.

Un nuovo ordine mondiale, relativamente più stabile, emerse quindi sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale sotto la guida della potenza vincente, gli Stati Uniti. Ma ciò non superò le contraddizioni fondamentali fra economia mondiale e stato-nazione. Per un lungo periodo, la Guerra Fredda con l’Unione Sovietica attutì il conflitto fra le potenze imperialiste, ma a seguito della dissoluzione dell’URSS esse sono tornate all’attacco con maggior violenza. La guerra in Irak segna una svolta decisiva a questo riguardo.

La crisi del capitalismo americano

La responsabilità immediata della guerra in Irak è da imputare alle coorte di destra che circondano il presidente George W. Bush, tuttavia le radici sociali ed economiche si estendono molto più profondamente. La classe dirigente sta reagendo ad una crisi fondamentale del capitalismo americano ed internazionale. Un cambiamento di guardia nella Casa Bianca non altererebbe fondamentalmente la direzione della politica americana - come dimostrato dal supporto quasi unanime alla guerra da parte del partito Democratico. Dietro la guerra si cela il tentativo del capitale americano di superare il proprio declino economico attraverso l’utilizzo di forza militare.

Gli USA emersero dalla Guerra Fredda come l’unica superpotenza militare. Attualmente, ciò che gli USA spende in armamenti rappresenta il 40 per cento del totale di spese militari a livello mondiale ma ciò nonostante è da tempo che il peso relativo degli Stati Uniti nell’economia mondiale continua notevolmente. Mentre dopo la Seconda Guerra Mondiale gli USA ancora producevano dall’uno ai due terzi delle merci industriali più importanti, da allora l’Unione Europea, il Giappone, l’Asia Orientale e la Cina sono divenuti seri competitori. Allo stesso tempo gli Stati Uniti sono più che mai dipendenti dalle risorse dell’economia mondiale. Un deficit della bilancia commerciale di 400 miliardi di dollari, un debito con l’estero di quasi tre bilioni di dollari e un deficit finanziario di 500 miliardi mettono in evidenza l’incalzante carattere parassitario del capitalismo americano. In caso di una cessazione di flussi di capitale, vi è la minaccia di un collasso economico.

Il governo di Bush persegue tre obiettivi nella guerra in Irak: acquisire il controllo della seconda più grande riserva mondiale di petrolio; l’insediamento di nuove basi militari nel Medio Oriente, che forniscono benefici strategici cruciali contro i rivali europei ed asiatici; la deviazione dell’attenzione pubblica dalle tensioni sociali e politiche in aumento negli USA.

Queste tensioni hanno raggiunto un’intensità estrema. IL gap fra ricco e povero è più vasta negli USA che in qualsiasi altro stato del mondo. Lo strato sociale più abbiente ha accumulato vaste ricchezze durante il boom azionario degli anni ’90, mentre alla parte bassa dello spettro sociale aumentano povertà, fame e gente senza tetto; il sistema di pubblica istruzione è al collasso e 44 milioni di americani sono privi di qualsiasi assistenza sanitaria. Un membro dell’uno per cento più ricco della società americana oggi guadagnano 75 volte più di un membro del 20 per cento più povero. Negli ultimi venti anni, il reddito dei ricchi si è moltiplicato per due volte e mezza, mentre quello dei più poveri è calato del 7 per cento.

La classe lavoratrice americana assomiglia ad un gigante incatenato, il quale rappresenterà l’avversario più minaccioso all’imperialismo americano una volta svegliato alla vita politica. Sta diventando sempre più difficile controllarlo con il sistema dei due partiti dominato - entrambi Repubblicani e Democratici - da ingenti capitali. Ciò spiega la continua deviazione dell’attenzione pubblica attraverso avventure all’estero, come la soppressione sistematica dei diritti democratici. La cosiddetta “guerra contro il terrorismo” consiste di questi due elementi.

Il dilemma europeo

Le azioni aggressive dell’imperialismo americano mettono i governi europei davanti ad un dilemma insolubile. Se seguono gli USA, rimangono il vassallo dell’America. Se oppongono gli USA, rischiano un’Europa divisa e, a lungo termine, probabilmente scontri militari catastrofici. In entrambi i casi, le tensioni sociali e politiche interne si intensificano.

Questo dilemma, oltre alle rivalità fra le potenze europee, creò molta separazione in Europa all’inizio della guerra in Irak. La Gran Bretagna, che da tempo usava la sua “relazione speciale” con gli USA come contrappeso alla dominazione franco-tedesca dell’Europa, si gettò ai piedi degli USA. La Spagna fece lo stesso, così come l’Italia e gli stati dell’est che entrano nell’Unione Europea a maggio. I governi impopolari di estrema destra in questi paesi considerano gli USA come una potenza protettiva - anche contro le loro stesse popolazioni.

La Francia e la Germania inizialmente si opposero al piano bellico, poiché temevano che i loro interessi nel Medio Oriente potessero essere compromessi. Dall’inizio, tuttavia, questa opposizione mancava di impegno. Infatti, il governo tedesco non ha mai considerato la chiusura dello spazio aereo tedesco e delle basi militari americane nel paese. Baghdad era appena caduta e Berlino e Parigi già avevano abbandonato le loro posizioni. Mentre milioni manifestavano contro la guerra illegale, Francia e Germania sanzionavano l’occupazione dell’Irak alle Nazioni Unite. Le differenze sulla guerra sono ormai considerate “differenze di opinione fra amici”, seppure nuovi dettagli che provano la misura della criminalità con cui Washington e Londra hanno preparato la guerra continuano a venire alla luce - dalle bugie più sfacciate sulle armi di distruzione di massa allo spiare il segretario generale dell’ONU. Si sta perfino considerando di mandare truppe NATO in Irak.

Ci sono varie ragioni per questo tipo di capitolazione codarda. Da una parte, Berlino e Londra dovettero affrontare il fatto che non erano preparati per uno scontro con Washington. Gli USA hanno usato senza pietà la loro influenza politica nel vecchio continente per dividere l’Europa e isolare gli opponenti della guerra.

Dall’altra parte, non volevano identificarsi troppo da vicino con il poderoso movimento contro la guerra, che si sviluppò in tutta Europa e culminò nella manifestazione mondiale più grande nella storia il 15 e 16 febbraio 2003. Pur se vi erano molte illusioni riguardo le posizioni della Germania e della Francia, tali manifestazioni contenevano il potenziale di divenire un movimento di massa contro le politiche antisociali dei governi europei. Sotto tale pressione, Berlino e Parigi preferirono un accordo con Washington.

Questa esperienza chiaramente dimostra che l’opposizione alla guerra non può essere lasciata ai governi europei, i quali perseguono le loro mire imperialistiche. La questione della guerra è inseparabilmente collegata a quella sociale. Solamente un movimento che opera contro le radici della guerra - l’ordine sociale capitalista - può combattere con successo il pericolo della guerra.

Il riavvicinamento fra Washington, Berlino e Parigi non significa che le cause di conflitti passati siano state superate. La lotta per mercati, investimenti, materie prime e manodopera a buon mercato sta diventando sempre più acuta. I conflitti commerciali fra l’Europa e gli USA sono in aumento. Conducono inevitabilmente a scontri nuovi e più violenti.

3. L’Unione Europea - un’arma a favore dei più potenti interessi economici.

Come gli USA, l’Europa è fondamentalmente cambiata dal crollo dell’Unione Sovietica.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il processo di unificazione europea era basato su due fattori: l’alleanza transatlantica e la Guerra Fredda. Gli USA appoggiarono l’unificazione dell’Europa Occidentale economicamente e politicamente al fine di stabilire un baluardo nella Guerra Fredda. Attraverso la ricostruzione economica e superando le rivalità fra paesi europei, impulsi rivoluzionari, come erano accaduti dopo la Prima Guerra Mondiale, dovevano essere evitati. Sebbene il processo di unificazione fu principalmente determinato da interessi economici, per un lungo periodo era anche legato ad un processo volto ad equilibrare contrasti sociali e regionali. Fondi agrari, fondi regionali ed altre iniziative prese con il denaro di Bruxelles servirono a mitigare le distorsioni sociali più evidenti.

La fine dell’Unione Sovietica ed il Patto di Varsavia hanno eliminato queste condizioni. Da allora, le tensioni con gli USA e all’interno dell’Europa si sono intensificate. Il ruolo delle istituzioni europee è cambiato profondamente. La Commissione di Bruxelles è divenuta sinonimo di deregolamentazione, liberalizzazione e abbattimento dei diritti dei lavoratori. Invece di riequilibrare contrasti sociali e regionali, li intensifica. Il colosso burocratico con 40 mila dipendenti - non soggetto ad alcun controllo democratico, ma controllato dai bisbigli di numerosi portaborse - continua sempre più ad esercitare il ruolo di mezzo al servizio delle grandi potenze europee e degli interessi economici più influenti.

La proposta di una costituzione europea codifica tali condizioni. Essa subordina tutti gli aspetti di politica sociale ed economica agli interessi dell’imprenditoria. Collega i termini “libertà, sicurezza e giustizia” con l’obbligazione di proteggere “un mercato interno con libera e indisturbata concorrenza”. L’articolo 4 specifica che il libero traffico di “merci, servizi e capitale” è una “libertà fondamentale”. L’Unione Europea potrà godere di una “autorità esclusiva” sulle politiche finanziarie nella zona dell’euro e sul coordinamento economico, sociale e di impiego lavorativo. Questa è una proclamazione di gravi attacchi su benefici sociali, di legittimazione di finanziare riduzioni fiscali ed altri incentivi economici. La costituzione proposta enfatizza inoltre il ruolo degli apparati militari e di polizia “per il mantenimento di legge ed ordine ed il mantenimento di sicurezza interna”. Solo dopo enumera alcuni modesti diritti civili.

Finora, questa proposta non è riuscita a trasformarsi in realtà a causa dei contraddittori interessi degli stati membri. In particolare, i governi schierati dalla parte degli USA sulla guerra dell’Irak temono di essere dominati dalla Germania e dalla Francia. D’altra parte prevalgono gli accordi riguardo obiettivi di politica economica e sociale. Nonostante le controversie suscitate dalla costituzione, la polarizzazione sociale dell’Europa è in aumento. Rimane ben poco del così venerato modello europeo di assistenza pubblica.

L’aumento di inuguaglianza sociale

Più di 20 milioni di uomini e donne sono attualmente disoccupati nell’Unione Europea. Allo stesso tempo, questa disoccupazione è distribuita in modo molto diseguale. Secondo i dati emessi dall’Ufficio di Statistiche dell’UE, l’indice di disoccupazione varia dal 3, 7 per cento in Lussemburgo all’11, 4 per cento in Spagna. Fra i paesi che saranno ammessi nell’Unione Europea a maggio, la Polonia ha il più alto livello con un 19, 2 per cento, equivalente a tre milioni trecento mila disoccupati. Quelli particolarmente colpiti sono i giovani sotto i 25 anni. In totale, nell’Unione Europea si conta il 15 per cento di giovani senza lavoro, mentre la Spagna fra i membri esistenti ha il più alto livello di disoccupazione al 23 per cento. In Polonia la disoccupazione giovanile arriva al 41 per cento.

La disoccupazione in aumento è accompagnata da povertà. Secondo i più recenti dati statistici sociali della Commissione Europea, nel 1998 il quinto più povero nell’UE ricevette l’8 per cento del reddito lordo, mentre il quinto più ricco percepì il 36 per cento. Lo stesso anno, circa 68 milioni di persone erano affette da povertà, in particolare i giovani e gli anziani, ma anche giovani donne. Questi dati non includono gli effetti delle “riforme” applicate negli ultimi sei anni. Quest’ultimo periodo ha visto drastiche riduzioni di salario, di ore lavorative regolate e di pagamenti di benefici di assistenza pubblica. Altri tagli e misure volte alla riduzione di tasse hanno significato la riduzione di programmi di investimenti pubblici, riaddestramento, ulteriore istruzione, e abilitazione al lavoro, così come altre forme di lavori creati dallo stato.

La crisi delle pensioni e dell’assistenza sanitaria è il risultato di questa politica calcolata, non di fattori demografici. L’aumento di lavori precari incoraggiato dai governi - lavori sottopagati e part-time, insieme ad altre forme precari di lavoro in proprio e col declino di salari e aumento di disoccupazione - ha spazzato via la base per la partecipazione ai costi di assicurazione sociale. Lo strato sociale a reddito più alto, così come coloro che beneficiano di redditi da proprietà ed altre forme di ricchezza, non sono più inclusi nel metodo di finanziamento dello stato di assistenza pubblica, mentre numeri in aumento di persone con basso reddito, i piccoli lavoratori in proprio e i disoccupati non riescono a permettersi di contribuire allo stato di assistenza pubblica. In questa maniera, le politiche di governo hanno avviato un circolo vizioso, creando le condizioni che a loro tempo offriranno la scusa per ulteriori attacchi alle pensioni e all’assistenza sanitaria.

L’attacco ai diritti democratici

Oltre all’offensiva contro i diritti sociali, sono sotto tiro anche i diritti democratici. Gli attacchi terroristici dell’undici Settembre 2001 negli Stati Uniti hanno fornito anche ai governi europei il pretesto per scagliare un attacco frontale contro i diritti fondamentali. Solo in Germania più di cento leggi sono state modificate con il passare di due ondate di misure antiterrorismo in parlamento.

Mentre la “lotta al terrorismo” viene citata come motivazione ufficiale, la maggior parte delle modifiche sono dirette contro l’intera popolazione, e possono essere usate per sopprimere la protesta sociale e le opinioni politiche dissidenti. Gli strumenti dello stato - i servizi segreti, la polizia di stato e quella di frontiera - sono stati rinforzati e così anche le risorse finanziarie a loro disposizione. Tramite l’uso di tecniche di indagine basate su razza, spesso senza la protezione dei dati individuali, una gran parte della popolazione è ormai sotto continua sorveglianza.

Il trattamento disumano dei rifugiati e degli immigrati rappresenta l’avanguardia dell’attacco ai diritti democratici. Ogni anno centinaia di essi muoiono nel tentativo di entrare in Europa. Le detenzione senza processo nei campi di concentramento, e la separazione dalle famiglie, assieme al flagrante abuso delle norme sociali e politiche, fanno ormai parte della vita quotidiana in Europa.

Le conseguenze dell’espansione dell’Unione Europea nell’Europa dell’Est.

L’espansione dell’Unione Europea (UE) da quindici a venticinque stati membri che avrà luogo il primo maggio potrà solamente intensificare la crisi sociale. Il divario tra i ricchi e i poveri crescerà, in mancanza di misure per mitigare tale divario, come avvenne invece nelle precedenti espansioni dell’Unione. I salari bassissimi nell’Europa dell’Est verranno usati per abbassare ulteriormente il tenore di vita nei paesi più ricchi.

L’espansione aumenterà la popolazione dell’UE di quasi il 20 per cento, portandola a 451 milioni. Le dimensioni del mercato interno dell’UE cresceranno del 23 per cento. Il prodotto interno lordo, invece, crescerà appena del 5 per cento. Il prodotto interno lordo di tutti i paesi entranti è pari a quello dell’Olanda, nonostante il fatto che questi dieci paesi abbiano una popolazione cinque volte più grande. Il loro prodotto interno lordo pro capite è meno della metà di quello dei paesi che sono già membri dell’UE.

Gli opuscoli colorati prodotti da Bruxelles che descrivono l’espansione dell’UE fanno riferimento alla futura ripresa della vita economica e culturale dell’Europa dell’Est, ma le cifre indicano conclusioni assai diverse. Nei prossimi due anni, l’UE fornirà venti miliardi annui di assistenza ai nuovi membri. Viste le dimensioni della crisi economica e sociale in questi paesi, questa somma è una goccia nell’oceano. Se si prendono in considerazione i costi dell’unificazione tedesca, ciò diventa subito chiaro. A partire dal 1991, il ministero del tesoro tedesco ha trasferito 50 miliardi di euro all’anno alla parte orientale del paese, che ha una popolazione di 17 milioni - molto meno dei 75 milioni dei paesi est-europei che si uniranno all’Unione. Nonostante questa assistenza, la disoccupazione nella Germania orientale rimane doppia rispetto a quella occidentale.

Allo stesso tempo, l’espansione dell’UE a est colpirà le economie delle regioni più povere dell’Europa occidentale, le quali riceveranno somme proporzionalmente inferiori dai fondi regionali dell’UE.

Prima che l’espansione avvenga, la commissione dell’UE ha già preso alcune misure che intensificheranno le contraddizioni sociali nei nuovi stati membri. Tramite una serie di criteri, condizioni e stipulazioni, ha cercato di assicurarsi che negli ex paesi del blocco orientale venga instaurato un clima “favorevole alla competizione del libero mercato”. Ciò ha comportato massicci tagli alle spese statali per i servizi sociali, la privatizzazione delle aziende statali e la chiusura di interi rami industriali e agricoli considerati non redditizi. Le conseguenze per ampie fascie della popolazione sono state catastrofiche. Investimenti stranieri e sovvenzioni dell’UE hanno arricchito piccoli centri in alcune città, mentre il resto del paese ha continuato ad affondare nella povertà e nella disperazione.

Questo è particolarmente evidente nel caso della Polonia, con la sua popolazione di 39 milioni che è superiore a quella di tutti gli altri nove paesi entranti messi assieme. Alla fine degli anni ottanta gran parte dell’industria pesante del paese (acciaierie e porti), dell’industria mineraria e del settore dell’energia era stata travolta e portata al fallimento da un programma di “terapia d’urto”. La produzione industriale è calata del 50 per cento tra il 1988 e il 1992. Nello stesso periodo, dei limiti imposti sui salari statali hanno causato un declino effettivo dei salari del 25 per cento. Adesso l’UE continua a premere per l’accelerazione della privatizzazione e pretende la chiusura delle rimanenti fabbriche non redditizie.

La situazione è ugualmente esplosiva nelle campagne. Quasi il 20 per cento della popolazione lavoratrice in Polonia lavora nel settore agricolo, che ha un basso livello di produttività. Le stime dell’UE indicano che solo centomila dei due milioni di contadini tuttora esistenti sopravviveranno al processo di espansione. Dopo l’entrata nell’UE, le stime indicano che i contadini polacchi riceveranno solo il 40 per cento delle sovvenzioni tuttora pagate agli agricoltori occidentali. Questi soldi andranno principalmente agli agricoltori più ricchi e a quei progetti agricoli situati vicino al confine per assicurare lo sfruttamento della terra polacca tramite metodi industriali. Inoltre, secondo le stime, i prodotti alimentari a basso prezzo provenienti dall’occidente invaderanno i mercati orientali non appena le tariffe commerciali verranno rimosse, il che significa che non ci sarà alcun ostacolo alla liquidazione di massa dell’agricoltura polacca.

Il capitalismo tedesco specialmente ha grande interesse nell’espansione a oriente. Esso fa già uso dell’Est come mercato per i suoi prodotti e come fonte di lavoro ben addestrato e a basso costo. La parte delle esportazioni tedesche ai nuovi stati membri è già equivalente a quella degli Stati Uniti (il 10 per cento circa). Il commercio tedesco con questi paesi ammonta al 40 per cento del totale dell’UE. Le aziende tedesche hanno investito massicciamente nell’Europa dell’Est. 350.000 lavoratori in Polonia, nella Repubblica Ceca e nell’Ungheria sono dipendenti di compagnie tedesche. Una di esse, la Siemens, ha 95 filiali con 25.000 dipendenti. Nel 1991, la Volkswagen ha assunto la direzione della Skoda, l’azienda automobilistica Ceca.

Il costo complessivo del lavoro di un operaio esperto nei paesi entranti è solo un ottavo del costo per un lavoratore tedesco di pari livello. Ma non ci sarà alcun livellamento dei salari. Ciò è dovuto non soltanto agli alti livelli di disoccupazione, ma anche alle regolamentazioni che proibiscono il libero movimento delle persone per i primi sette anni dopo l’entrata dei paesi dell’est.

4. Gli Stati Uniti Socialisti d’Europa

Il PSG respinge decisamente l’Unione Europea, le sue istituzioni, la sua progettata costituzione, e il processo d’espansione a Est sotto il controllo dell’UE. Il nostro rifiuto, tuttavia, non ha nulla a che vedere con la posizione che cerca di isolare l’Europa dall’Est o che rifiuta l’ammissione di paesi come la Turchia perchè ciò sarebbe “troppo costoso”.

Sormontare i confini europei applicando congiuntamente le enormi risorse tecniche e culturali e le ricchezze materiali del continente creerebbe le condizioni per debellare in tempi brevi la povertà e l’arretratezza, e consentirebbe un miglioramento del tenore di vita in tutta Europa. Tuttavia, ciò continua a rimanere impossibile fin quando il processo di unificazione non verrà più guidato dall’interesse del profitto capitalista. Nella sua forma attuale, l’unificazione garantisce la completa libertà di movimento al capitale, mentre le grandi masse della popolazione europea sono divise da differenze enormi nei salari e nelle condizioni di vita, gli immigrati sono soggetti a discriminazioni, e i diritti democratici vengono progressivamente eliminati.

L’unificazione progressista dell’Europa è possibile solamente nella forma degli Stati Uniti Socialisti d’Europa. Ciò presuppone l’unificazione politica della classe lavoratrice europea. Le masse lavoratrici nell’Europa dell’Est e in Turchia sono gli alleati più importanti nella lotta contro quegli interessi del grande capitale che decidono il corso dell’UE.

Il PSG rifiuta ogni forma di nazionalismo e di regionalismo. Esigere la sovranità nazionale o l’autonomia regionale - che sia per la Scozia, la Catalonia o la “Padania” - non costituisce una risposta agli ordini provenienti da Bruxelles. Fare questo in pratica sarebbe come sostituire a tante piccole gabbie un carcere centrale. Queste proposte dividono le persone lungo linee nazionali, etniche e religiose, facilitandone la soppressione. Queste proposte portano inevitabilmente alla balcanizzazione del continente, evocando tutti i terribili avvenimenti che emersero dopo la divisione della Iugoslavia: il nazionalismo assassino, l’espulsione delle minoranze etniche e il declino economico. Il PSG rifiuta qualsiasi misura atta a stabilire nuove barriere e nuovi confini, non importa se di carattere economico o politico.

Per realizzare la riorganizzazione socialista dell’Europa noi proponiamo il seguente programma:

* Per l’uguaglianza e la giustizia sociale

I diritti a un posto di lavoro, a una pensione, all’assistenza sanitaria e all’istruzione sono diritti sociali essenziali. Questi diritti devono avere la priorità sugli interessi delle grandi aziende. Il problema della disoccupazione richede un grande programma di lavori pubblici per creare milioni di nuovi posti di lavoro in aree sociali vitali come l’istruzione, l’assistenza agli anziani, la cultura e lo sviluppo delle infrastrutture, specialmente nell’Europa orientale. Ad ogni cittadino deve essere garantita una pensione di stato che gli consenta di vivere la vecchiaia senza preoccupazioni, oltre a un’assistenza sanitaria completa, e un’istruzione garantita fino al livello universitario incluso.

Secondo i soliti ragionamenti, il tesoro pubblico è esaurito e non ci sono fondi per tali progetti. In realtà questi mezzi esistono, ma sono distribuiti in maniera totalmente ingiusta. Un programma sociale comprensivo richiede la riorganizzazione razionale dell’economia per metterla a servizio dell’interesse pubblico e non nell’interesse dei profitti dei più potenti gruppi capitalistici. Le grandi concentrazioni di capitale e istituzioni finanziarie devono essere nazionalizzate e soggette al controllo democratico. Le aziende di piccolo e medio livello che cercano di rimanere a galla devono avere a disposizione credito a basso tasso d’interesse che gli consenta di pagare regolarmente i loro dipendenti. I redditi alti e gli introiti provenienti dal capitale e dalla proprietà devono essere tassati per finanziare le spese sociali.

* Per la democrazia e i diritti degli immigrati

La difesa dei diritti democratici e l’estensione dell’uguaglianza politica a tutti sono elementi centrali per la lotta per un’Europa socialista. Le restrizioni imposte ai diritti democratici nel nome della “lotta al terrorismo” vanno respinte.

La lotta per i diritti democratici non può consistere semplicemente nel respingere gli attacchi contro di essi. Qualsiasi discussione su una democrazia autentica non potrà mai aver senso finchè la ricchezza sociale rimarrà concentrata in poche mani mentre la grande maggioranza della popolazione rimane esclusa da tutte le decisioni che interessano il proprio lavoro, e mentre la stampa e i media sono monopolizzati dal grande capitale, e la cultura e l’istruzione rimangono a disposizione solo di pochi privilegiati. I tagli nella sfera della cultura e dell’educazione artistica danneggiano profondamente la società. Esiste un rapporto innegabile tra la glorificazione del militarismo, della brutalità e dell’egoismo e il rifiuto dell’eredità artistica e culturale del passato.

La classe lavoratrice europea sarà in grado di difendere i propri diritti democratici solo quando si assumerà la responsabilità per i milioni di rifugiati e immigrati che vivono nel continente. La caccia alle streghe scatenata contro gli immigrati è in realtà un tentativo di dividere la classe lavoratrice in vari gruppi etnici, religiosi o razziali, trattenendo e sopprimendo così l’intera classe. I rifugiati e gli immigrati costituiscono una parte significativa della classe lavoratrice e giocheranno un ruolo importante nelle lotte future.

* Contro la guerra e il militarismo

I lavoratori devono riuscire a trovare la propria risposta indipendente alla minaccia dell’imperialismo americano. Essi non possono permettersi di lasciarsi incantare dall’atteggiamento conciliatorio assunto dai governi europei nei confronti di Washington. La conflagrazione dell’imperialismo americano minaccia di gettare l’umanità intera in una catastrofe. Oggi esso rappresenta la singola minaccia più grande alla pace.

Noi siamo a favore dell’immediato scioglimento della NATO e della chiusura di tutte le basi americane sul territorio europeo.

Mentre i governi europei tentano di venire a patti con Washington, essi continuano comunque a perseguire i propri progetti imperialisti. A tale scopo stanno costruendo una forza d’attacco e un’industria d’armamenti europee indipendenti. Noi ci opponiamo a questi tentativi e chiediamo il ritiro immediato delle truppe europee dall’Irak, dai Balcani, dall’Afganistan e dall’Africa.

La lotta per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa e la resistenza all’imperialismo e alla guerra sono intrinsecamente legate fra loro, e sono responsabilità della classe lavoratrice. Un’Europa socialista sarebbe un contrappeso importante all’imperialismo americano. Essa assisterebbe la lotta contro l’imperialismo e la sopraffazione dei popoli oppressi in tutto il mondo, erodendo in tal modo la base delle ideologie regressive come l’integralismo islamico. Essa costituirebbe inoltre, in modo particolare, un polo d’attrazione per la classe lavoratrice statunitense e l’aiuterebbe nei suoi sforzi per liberarsi di quella camicia di forza che è il bipartitismo nel suo sistema politico, in modo da potersi sviluppare come forza indipendente contro l’imperialismo americano.

5. La bancarotta delle vecchie organizzazioni dei lavoratori

La socialdemocrazia e la burocrazia sindacale hanno reagito alla crisi internazionale del capitalismo passando completamente al campo della borghesia. Mentre nel periodo post-bellico la socialdemocrazia aveva come scopo il soffocamento degli istinti anticapitalistici presenti in molti lavoratori, cercando di riconciliarli al mercato tramite riforme sociali, ora essa è passata a difendere il capitalismo proprio alle spese di tali riforme.

Nel 1998 la socialdemocrazia era al governo in undici governi dell’UE su quindici. Le loro vittorie elettorali furono per la maggior parte frutto della delusione per i governi conservatori precedenti. Le politiche di questi governi socialdemocratici, però, si distinguevano da quelle dei loro predecessori solo nell’essere spesso ancor più di destra. Il “New Labour” di Tony Blair adottò il programma di Margaret Thatcher. Con la sua “Agenda 2010, ” l’SPD di Gerhard Schröder ha lanciato l’attacco più esteso allo stato sociale dal tardo ottocento, quando il Cancelliere Bismarck per primo introdusse una serie di ammortizzatori sociali.

L’SPD viene sostenuto in questo dai Verdi. La corsa verso destra dei Verdi è persino più accelerata di quella dell’SPD. Emersi dai rimasugli del movimento di protesta del ’68, inizialmente i Verdi chiedevano la difesa dell’ambiente, la democrazia di base, il pacifismo e fino a un certo punto la giustizia sociale. Essi rifiutavano però di identificarsi con gli interessi della classe lavoratrice. Oggi i Verdi lottano per quello strato sottile dei ceti medi che è riuscito a salire qualche gradino della scala sociale. Rispondono in maniera sempre più ostile alle richieste per migliorare le condizioni sociali che provengono dal basso. Per loro la “riforma” dello stato sociale non può mai procedere con sufficiente rapidità. I pacifisti di ieri sono ora a favore di un esercito professionista e degli interventi di truppe tedesche in tutto il mondo.

Le politiche di governo della socialdemocrazia e dei Verdi hanno aperto la strada al ritorno al potere delle destre. In Italia Silvio Berlusconi era stato costretto alle dimissioni dalle manifestazioni di massa contro i tagli alle pensioni del 1994. Ora è tornato al potere, dopo le diffuse delusioni causate da cinque anni di governo di centro-sinistra. In Francia, il governo di Lionel Jospin ha reso lo stesso servizio a Jacques Chirac.

Le forze dell’estrema destra che fanno parte, direttamente o indirettamente, del governo in molti paesi europei - i neo-fascisti e la Lega Nord in Italia, l’Fpoe di Haider in Austria, il Partito Popolare Danese in Danimarca - non hanno basi di massa e sono arrivati al potere solo grazie all’appoggio di alcune cricche della classe dirigente che hanno a disposizione i mass media. In questo senso, un uomo come Berlusconi, il miliardario imperatore mediatico dai loschi contatti è la regola, non l’eccezione. L’unica ragione per cui questi elementi di destra rimangono aggrappati al potere è il fatto che non esiste una vera alternativa di sinistra.

Di fronte a queste esperienze, chiunque insista che le vecchie, esaurite organizzazioni dei lavoratori constituiscano un “male minore” che può essere sensibilizzato agli interessi dei lavoratori, o dai cui ranghi potranno emergere elementi progressisti una volta messe sotto pressione dalle masse, non fa certo alcun favore alla classe lavoratrice. Moltissime esperienze negli anni scorsi hanno dimostrato che idee di questo tipo sono illusorie e riescono solo ad incatenare i lavoratori all’ordine borghese. Non bisogna cercare di costruire queste forze cosiddette “di sinistra” dall’interno, o nei paraggi di queste organizzazioni. Bisogna piuttosto dare alla classe lavoratrice quello che politicamente le manca da molto tempo: una voce propria e un ruolo indipendente. Ciò richiede la costruzione di un nuovo partito politico che permetta alla classe lavoratrice di intervenire negli sviluppi politici come forza indipendente.

6. Il PSG e la “sinistra” radicale

Questo orientamento separa fondamentalmente il PSG da tutte le altre organizzazioni di sinistra. Anche se molte di esse fanno riferimento al socialismo, in realtà si limitano a mettere sotto pressione l’apparato burocratico dei sindacati e dei partiti riformisti.

Il PSG considera la rottura completa con queste organizzazioni come il presupposto fondamentale per lo sviluppo di un grande movimento socialista.

Le organizzazioni radicali “di sinistra” tendono a glorificare le lotte sindacali, senza criticarne la direzione. Esse fomentano l’illusione che sia possibile ravvivare le politiche di tipo riformista che vennero messe in atto negli anni sessanta e settanta, e si esaltano non appena un qualsiasi politico socialdemocratico esprime un punto di vista leggermente diverso. Questi gruppi sono un ostacolo sul cammino verso una nuova prospettiva socialista, e questo fatto è stato confermato da una serie di esperienze recenti.

Per cinque anni, Rifondazione Comunista in Italia ha cercato di colmare l’abisso tra gli atteggiamenti militanti della classe lavoratrice e il governo di centro-sinistra al potere. Mentre mobilizzava forze al di fuori del parlamento e criticava il governo con parole dure, Rifondazione assicurava al governo i voti necessari per imporre un drastico programma d’austerità per far sì che l’Italia rientrasse nei parametri di Maastricht e nella moneta unica europea.

Nonostante ciò, molte organizzazioni si sono affiancate a Rifondazione, acclamandola come il nuovo modello per la sinistra europea. Nel frattempo, Rifondazione ha reso noto che si unirà alla coalizione di centro-sinistra nelle prossime elezioni politiche e, in caso di vittoria, sarà disposta ad assumere la guida di alcuni ministeri.

In Germania molte organizzazioni di sinistra hanno adottato lo stesso atteggiamento verso il Partito del Socialismo Democratico (PDS). Nonostante le radici Staliniste del partito, il quale in passato dominava la Germania Est, queste organizzazioni lo descrivono come “il partito che ha sviluppato una politica per tutti coloro che sono oppressi, sfruttati, e svantaggiati dal capitalismo”. Da allora il PDS ha fatto del suo meglio per confutare questa opinione, ad esempio, affiancandosi all’SPD nell’amministrazione cittadina di Berlino per imporre un programma radicale di tagli ai servizi sociali.

In Inghilterra molte organizzazioni di sinistra si sono unite per fondare il gruppo chiamato “Respect”, sotto la guida del vecchio parlamentare laburista George Galloway. Galloway è stato espulso dai laburisti perchè, a causa dei suoi rapporti con molti regimi Arabi, si è opposto alla guerra contro l’Irak. Galloway è un opportunista rinomato che ha personalmente negato che l’appellativo “socialista” possa descrivere la sua politica.

In Francia due organizzazioni che scorrettamente descrivono se stesse come “trotskiste” - Lotta Operaia (LO) e la Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR) - mantengono una posizione simile. A seguito delle diffuse delusioni per il Partito Comunista e Socialista Francese sono riuscite di recente a registrare un considerevole successo elettorale. Avendo ottenuto in totale il dieci per cento al primo turno delle elezioni presidenziali del 2002, esse si sono dimostrate impreparate a prendere responsabilità per una prospettiva indipendente. Al secondo turno, mentre milioni di persone scendevano in piazza per manifestare contro il neofascista Le Pen, l’LCR ha richiesto il voto per il Gaullista Chirac, mentre la LO è rimasta completamente passiva di fronte agli avvenimenti. Entrambe le organizzazioni hanno respinto la proposta del boicottaggio elettorale, l’unica che avrebbe rimosso la legittimità delle elezioni e preparato la classe lavoratrice alle lotte future.

Il PSG si basa su una lunga tradizione Marxista centrata sull’emancipazione politica e culturale della classe lavoratrice. Questa tradizione include il periodo iniziale della socialdemocrazia, che educò generazioni di persone nello spirito di Marx e Engels, Lenin, Rosa Luxenburg, e Karl Liebknecht, i quali si opposero alla degenerazione della socialdemocrazia e al suo capitolare alla borghesia all’inizio della prima guerra mondiale, cosí come nello spirito dell’Opposizione di Sinistra guidata da Leo Trotski, che combattè i crimini di Stalin e costruì le fondamenta per la rinascita del movimento operaio internazionale con la fondazione della Quarta Internazionale.

Finchè la socialdemocrazia e lo Stalinismo continuavano a dominare il movimento operaio, è stato possibile isolare questa tradizione Marxista. Ma la bancarotta politica di queste organizzazioni ha aperto una nuova epoca storica nella quale le Quarta Internazionale riuscirà a trovare un pubblico crescente. Nel World Socialist Web Site essa possiede uno strumento che ha acquisito un’ampia base di lettori in tutto il mondo, e viene sempre più riconosciuta come la voce autentica del Marxismo.