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Sciopero generale in Italia contro la manovra

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 7 settembre 2011

Nello stesso giorno in cui al Senato è cominciata la ratifica della manovra finanziaria, la cui stima si aggira intorno ai 195 miliardi tra tagli e tasse regressive, centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato per un giorno e sono scesi in piazza per protestare contro l’attacco ai diritti sociali rappresentato dalla manovra stessa.

Si è manifestato a Roma, Milano, Firenze, Napoli, Torino, Bologna, Palermo e almeno un centinaio di altre città in tutto il paese.

Qualche incidente è stato registrato a Napoli, dove otto poliziotti sono rimasti feriti colpiti da petardi, a Torino, dove alcuni manifestanti NO TAV hanno spintonato per salire sul palco, e Palermo, dove sono state lanciate uova contro la sede della Mondadori e sono state bruciate bandiere. A Genova, i lavoratori hanno fischiato alla proposta di cantare l’inno nazionale, richiedendo invece “L’Internazionale”.

L’obiettivo principale dello sciopero e della protesta è stato l’attacco a posti di lavoro e pensioni perseguito dal governo attraverso la manovra. Vari slogan dicevano: “Se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città”, “I diritti non si toccano”, “Tutelano i ricchi, svendono l’Italia. Fermiamoli!”, “Nazionalizzare le banche” (scritto con vernice spray sulla finestra di una filiale della Deutsche Bank a Roma), ” Basta con la macelleria sociale”, “La speculazione finanziaria non devono pagarla I lavoratori”.

Lo sciopero è stato indetto dalla CGIL, sindacato tradizionalmente associato con il Partito comunista stalinista. La loro chiamata era contro la manovra e di “una contromanovra che ha esattamente gli stessi saldi della manovra messa a punto dal governo.”

Tali dichiarazioni evidenziano l’abisso che separa la classe lavoratrice dalla burocrazia sindacale.

Questa posizione cinica conferma il ruolo della CGIL che coadiuva il governo nella distruzione della posizione sociale dei lavoratori. È contraria a far cadere il governo e a lottare per un governo dei lavoratori e propone manovre “blianciate” che, su base capitalistica, potranno solo essere a carico della classe lavoratrice. Il ruolo della CGIL si riduce a promuovere illusioni che i partiti borghesi di “sinistra” possano realizzare una manovra finanziaria meno dolorosa.

Un emendamento all’articolo 8 dell’ultima versione della manovra è stato preso di mira dai manifestanti in quanto pregiudicherebbe il codice del lavoro esistente annullando i contratti collettivi nazionali. I contratti a livello aziendale prevarrebbero sugli accordi negoziati a livello nazionale, e i lavoratori potrebbero essere licenziati con l’approvazione dei sindacati.

L’articolo 8, come la Manovra nel suo complesso, è la logica conseguenza di una serie di concessioni da parte dei sindacati. Evidenzia il loro ruolo insidioso e anche dei loro complici politici dei partiti della “sinistra”.

Il WSWS lo scorso aprile scrisse, “I nuovi contratti Fiat segnano un cambiamento storico e qualitativo nelle relazioni sociali in Italia in un percorso verso una vera dittatura padronale, esercitata con l’aiuto della burocrazia sindacale (vedi: “an2011/fiat-j24.shtml">Voto Fiat Mirafiori: i sindacati coadiuvano un attacco contro i lavoratori di dimensioni storiche”)”

Questo cambiamento è stato elaborato originalmente alla Fiat, che ha firmato contratti di concessione con i sindacati a Mirafiori e Bertone. (Vedi: “ay2011/fiat-m16.shtml">I sindacati infliggono un altro duro colpo ai lavoratori Fiat”)

Poi, il 28 giugno, CGIL, CISL e UIL hanno firmato un accordo con Confindustria, aprendo la strada alle modifiche apportate dall’articolo 8 della Manovra. Infatti in tale accordo i contratti aziendali già prendevano la precedenza su quelli nazionali.

In particolare, l’articolo 7 di tale accordo stabilisce: “i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale...”

Solo un mese fa, dopo un discorso di Berlusconi al Parlamento, la “sinistra” e i sindacati si sono precipitati a negoziare con le parti sociali per elaborare un “Patto per la crescita”. Il patto echeggiava l’accordo interconfederale del 28 giugno: “Alla luce delle gravi difficoltà del paese le parti sociali proseguiranno l’impegno per modernizzare le relazioni sindacali” (vedi “ug2011/ital-a17.shtml">Il governo prepara nuovi tagli dopo il panico nei mercati azionari”).

Né ai sindacati e né ai loro complici della “sinistra” interessano le condizioni dei lavoratori. Semmai, sono preoccupati che i lavoratori si radicalizzino e si mobilizzino proprio contro di loro vista la durezza degli attacchi contenuti nella finanziaria. Questo è precisamente il motivo per cui il segretario CGIL Susanna Camusso ha indetto lo sciopero del 6 settembre: per contenere l’opposizione della classe lavoratrice nel vicolo cieco delle proteste sindacali.

Le misure proposte dal governo nelle ultime due settimane hanno provocato indignazione popolare. Il malcontento è stato temporaneamente contenuto da un viavai di proposte e controproposte correntemente allo studio in Senato, pari a 1300 emendamenti.

Queste proposte reazionarie hanno il solo scopo di nascondere la determinazione della borghesia di effettuare tagli e stimolare illusioni nell’establishment politico. Ciò che è in discussione sono misure regressive come l’incremento dell’IVA, che pesano in modo sproporzionato sui lavoratori, e un nuovo aumento dell’età di pensionamento.

Il ruolo della “sinistra” è, ancora una volta, quello di incanalare la fortissima opposizione popolare in un vicolo politico cieco. Il ruolo del Partito Democratico (PD) è rivelatore: sezioni del partito erano addirittura contrarie allo sciopero del 6 settembre. Tuttavia, il segretario Pier Luigi Bersani, un esperto ex-stalinista che sa che per disinnescare una minaccia dalla classe lavoratrice deve cavalcarla, ha partecipato alla protesta.

I conflitti interni del PD riflettono le preoccupazioni crescenti all’interno della borghesia che la situazione attuale possa portare la lotta di classe troppo allo scoperto; per questo motivo una sezione del partito cerca di sfruttare l’occasione per dirottare le lotte dei lavoratori. Alcune delle critiche interne allo sciopero partono dall’idea che i negoziati parlamentari dovrebbero essere sufficienti.

I partner di “sinistra” del PD, da Nichi Vendola di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), a Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista e ai pablisti di Sinistra Critica erano tutti d’accordo sulla necessità di un altro sciopero sindacale.

Una misura evidente del carattere politico di queste organizzazioni è data dal loro ruolo nell’organizzazione della protesta dei sindaci del mese scorso a fianco di esponenti politici neo-fascisti. Questa protesta mirava a preservare i privilegi burocratici del mondo politico, non i posti di lavoro dei dipendenti comunali. Di conseguenza, ha attirato l’appoggio del neo-fascista Gianni Alemanno, sindaco di Roma, così come l’ex-Rifondazione Giuliano Pisapia, sindaco di Milano.

Ciò che unisce ex-stalinisti e neo-fascisti è la loro incondizionata difesa dell’ordine borghese contro l’organizzazione indipendente della classe lavoratrice sulla base di un vero programma socialista.