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L’ipocrisia della “libertà di parola” all’indomani dell’attacco a Charlie Hebdo

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 9 gennaio 2015

L’attacco alle redazioni di Charlie Hebdo ha scioccato il pubblico, destando orrore per le morti violente di 12 persone nel centro di Parigi. Visti da milioni di persone, i video che mostrano uomini armati che sparano uccidendo un poliziotto già ferito, hanno impartito agli eventi di mercoledì una realtà straordinaria.

Dopo il massacro, lo Stato e i media hanno subito cercato di sfruttare la paura e la confusione del pubblico. Ancora una volta, il fallimento politico e il carattere essenzialmente reazionario del terrorismo è esposto. Serve agli interessi dello Stato, che sfrutta l’opportunità offerta dai terroristi per incrementare supporto per l’autoritarismo e il militarismo. Nel 2003, quando l’amministrazione Bush invase l’Iraq, l’opposizione popolare francese era talmente schiacciante che il governo guidato dal presidente Jacques Chirac fu costretto a opporsi alla guerra, nonostante la massiccia pressione politica da parte degli Stati Uniti. Ora, 12 anni dopo, visto che il presidente François Hollande sta cercando di trasformare la Francia nel principale alleato degli Stati Uniti nella “lotta al terrorismo”, l’attacco di Parigi gioca a suo favore.

In questi sforzi Hollande può contare sui media, che in tali circostanze dirigono tutte le loro energie verso la manipolazione emotiva e il disorientamento politico del pubblico. I media capitalisti, combinando abilmente la soppressione delle informazioni con mezze verità e menzogne, escogitano un racconto che viene calcolato per fare leva non solo sui più bassi istinti del vasto pubblico, ma anche sui suoi sentimenti democratici e idealistici.

In Europa e negli Stati Uniti, viene dichiarato che l’attentato alla rivista Charlie Hebdo sia stato un attacco contro la libertà di stampa e il diritto inalienabile dei giornalisti ad esprimersi in una società democratica, senza dover rischiare di perdere la libertà o la vita. L’uccisione dei disegnatori e redattori di Charlie Hebdo è stata definita un attacco ai principi della libertà di parola che sono, presumibilmente, tanto a cuore in Europa e negli Stati Uniti. L’attacco a Charlie Hebdo è, quindi, presentato come un altro oltraggio da parte dei musulmani che non possono tollerare la “libertà” occidentale. Da questo la conclusione che si deve trarre sarebbe che la “lotta al terrorismo”, ovvero l’assalto imperialista in Medio Oriente, Asia centrale Nord e Centro Africa, è una necessità imprescindibile.

In mezzo a questa orgia di ipocrisia democratica, non si fa riferimento al fatto che i militari americani, nel corso delle guerre in Medio Oriente, sono responsabili della morte di almeno 15 giornalisti. Nella continua narrativa sulla “Libertà di parola sotto attacco, ” non c’è posto per qualsiasi menzione dell’attacco missilistico del 2003 agli uffici di Al Jazeera a Baghdad che ha lasciato tre giornalisti morti e quattro feriti.

Né nulla viene scritto o detto a proposito dell’omicidio del luglio 2007 di due giornalisti della Reuters che lavoravano a Baghdad, il fotografo Namir Noor-Eldeen e l’autista Saeed Chmagh. Entrambi gli uomini furono deliberatamente presi di mira da elicotteri Apache statunitensi, operanti a East Baghdad.

Il pubblico americano e internazionale fu prima in grado di guardare un video dell’assassinio a sangue freddo di due giornalisti e un gruppo di iracheni, commesso da uno degli elicotteri, grazie alla pubblicazione di WikiLeaks del materiale riservato che aveva ottenuto da un soldato americano, il caporale Bradley Chelsea Manning.

E come hanno reagito gli Stati Uniti e l’Europa per proteggere l’esercizio di WikiLeaks alla libertà di parola? Julian Assange, il fondatore ed editore di Wikileaks, è stato sottoposto a una implacabile persecuzione. I principali personaggi politici e dei media negli Stati Uniti e in Canada lo hanno denunciato come un “terrorista” e hanno chiesto il suo arresto, con alcuni chiedendo addirittura pubblicamente il suo omicidio. Assange viene perseguito sulla base di fraudolenti accuse di “stupro”, inventate dai servizi segreti americani e svedesi. E ‘stato costretto a cercare rifugio presso l’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove è sotto costante sorveglianza da parte della polizia britannica, pronta ad arrestarlo se fa un passo fuori dell’ambasciata. Quanto a Bradley Manning, è attualmente in carcere, a scontare una condanna a 35 anni per tradimento.

È così che le grandi “democrazie” capitaliste del Nord America e dell’Europa hanno dimostrato il loro impegno per la libertà di parola e la sicurezza dei giornalisti!

La disonesta e ipocrita narrativa dettata dallo Stato e dai media richiede che Charlie Hebdo e i suoi vignettisti e giornalisti uccisi vengano accolti come martiri per la libertà di parola e rappresentanti di una venerata tradizione democratica di incisivo giornalismo iconoclasta.

In una rubrica pubblicata Mercoledì sul Financial Times, lo storico liberale Simon Schama pone Charlie Hebdo in una gloriosa tradizione di irriverenza giornalistica che “è la linfa vitale della libertà”. Egli ricorda i grandi satirici europei tra il XVI e il XIX secolo, che sottoposero i grandi e i potenti al loro feroce disprezzo. Tra i loro obiettivi illustri, Schama ci ricorda, furono il ??brutale duca d’Alba, che nel XVI secolo soffocò la lotta per la libertà degli olandesi nel sangue; il francese “Re Sole” Luigi XIV; il primo ministro britannico William Pitt; e il Principe di Galles. “La Satira”, scrive Schama, “divenne l’ossigeno della politica, ventilando sani ululati di derisione nei caffè e nelle trattorie dove caricature circolavano ogni giorno e ogni settimana.”

Schama pone Charlie Hebdo in una tradizione a cui non appartiene. Tutti i grandi satirici a cui si riferisce Schama erano rappresentanti di un illuminismo democratico che diressero il loro disprezzo contro potenti e corrotti difensori del privilegio aristocratico. Nei suoi ritratti inesorabilmente degradanti dei musulmani, Charlie Hebdo deride i poveri e i deboli.

Parlare senza mezzi termini e onestamente sul sordido, cinico e degradante livello di Charlie Hebdo non significa condonare l’uccisione del suo personale. Ma quando lo slogan “Je suis Charlie” è adottato, e fortemente promosso dai media, come slogan di manifestazioni di protesta, tutti quelli che non sono stati sopraffatti dallo Stato e dalla propaganda mediatica sono obbligati a rispondere: “Ci opponiamo all’assalto violento alla rivista, ma non siamo e non abbiamo nulla in comune con ‘Charlie’”.

I marxisti non sono nuovi alle battaglie per superare l’influenza della religione sulle masse. Ma conducono questa lotta con la consapevolezza che la fede religiosa è sostenuta da condizioni di avversità e difficoltà disperata. La religione non deve essere derisa, ma compresa e criticata, come fece Karl Marx:

“L’angoscia religiosa è ... l’espressione di vera angoscia e anche la protesta contro la vera angoscia. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di condizioni senza spirito. Essa è l’oppio dei popoli.

“Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola.”[Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in Marx & Engels, Opere, Volume 3 (New York, 1975), pp. 175-76]

Basta soltanto leggere queste parole per notare il baratro intellettuale e morale che separa il marxismo dal malsano ambiente del cinismo politico della ex sinistra che ha trovato espressione in Charlie Hebdo. Non c’è stato nulla di illuminante, tantomeno di edificante, nella loro puerile e spesso oscena denigrazione della religione musulmana e delle sue tradizioni.

Le caricature anti-musulmane cinicamente provocatorie che sono apparse su tante copertine di Charlie Hebdo hanno assecondato e facilitato la crescita di movimenti sciovinisti di destra in Francia. È assurdo pretendere, a titolo di difesa di Charlie Hebdo, che i suoi fumetti siano tutti “divertenti” e che non abbiano conseguenze politiche. A parte il fatto che il governo francese è disperato per ottenere sostegno alla sua crescente agenda militare in Africa e in Medio Oriente, la Francia è un paese in cui l’influenza del Fronte nazionale neo-fascista è in rapida crescita. In questo contesto politico, Charlie Hebdo ha facilitato la crescita di una forma di sentimento anti-musulmano policizzato che ha una somiglianza inquietante all’antisemitismo politicizzato che emerse come movimento di massa in Francia alla fine dell’800.

Nel suo uso di caricature rozze e volgari che ritraggono una immagine sinistra e stereotipata dei musulmani, Charlie Hebdo ricorda le pubblicazioni razziste a buon mercato che giocarono un ruolo significativo nel promuovere l’agitazione antisemita che travolse la Francia durante il famoso Affare Dreyfus, scoppiato nel 1894 dopo che un ufficiale ebreo fu ingiustamente accusato di spionaggio a favore della Germania e condannato. Nel montare l’odio popolare contro gli ebrei, La Libre Parole, pubblicata dal famigerato Edoard Adolfe Drumont, fece un uso molto efficace di cartoni animati che impiegavano comuni stereotipi antisemiti. Le caricature servirono a infiammare l’opinione pubblica, incitando le masse contro Dreyfus ei suoi difensori, come Emile Zola, il grande romanziere e autore di J’Accuse.

Il World Socialist Web Site, sulla base dei propri principi politici di lunga data, si oppone e condanna inequivocabilmente l’assalto terroristico a Charlie Hebdo. Ma ci rifiutiamo di partecipare alla rappresentazione di Charlie Hebdo come martire per la causa della democrazia e della libertà di parola, e avvertiamo i nostri lettori a diffidare dell’agenda reazionaria che anima questa campagna ipocrita e disonesta.