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Le elezioni italiane: una prospettiva per la classe lavoratrice

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 28 febbraio 2018

Nelle elezioni italiane di domenica sono espressi in maniera concentrata tutti gli stessi problemi politici che giovani e lavoratori si trovano ad affrontare nell’Europa intera.

Queste elezioni si svolgono sullo sfondo di una crescente crisi sociale. Secondo le statistiche ufficiali, l’8 per cento della popolazione vive in “povertà assoluta”. Il tasso ufficiale di disoccupazione è dell’11 per cento ma tocca il 30 per cento fra i giovani. Molte persone, che guadagnano una misera esistenza senza avere un impiego regolare, non sono nemmeno contate in queste statistiche. Il tasso di occupazione in Italia è del 58 percento, uno dei più bassi della zona Euro.

Un secondo fattore incombe minaccioso sulle elezioni: il crescente pericolo di guerra. Gli Stati Uniti, la potenza principale all’interno della NATO, stanno minacciando di andare in guerra con la Russia e la Cina. L’Unione Europea, di cui l’Italia è stata membro fondatore, si sta preparando ad affermare le sue grandi ambizioni di potere e lanciare guerre in Medio Oriente, Africa, Europa orientale e Asia centrale, sotto la leadership tedesca e francese. Il ministro degli esteri tedesco, Sigmar Gabriel, nel corso di questo mese, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha dichiarato che l’Europa ha bisogno di “un’immagine di potere condiviso nel mondo”, e che non può fare a meno del “riarmo militare… perché come unici vegetariani è dannatamente dura nel mondo dei carnivori”.

In Italia c’è una forte opposizione alla disuguaglianza sociale e alla guerra. Le tensioni di classe sono al punto di rottura. La classe lavoratrice italiana possiede una lunga tradizione di lotta militante, che risale alla Resistenza, la lotta della classe operaia contro i fascisti di Mussolini. Quindici anni fa, solo a Roma tre milioni di persone scesero in piazza per protestare contro la guerra in Iraq. Ma questa opposizione non trova la sua espressione politica nella presente campagna elettorale.

La ragione principale di ciò è lo spostamento a destra delle tendenze politiche e dei partiti che una volta si definivano “di sinistra” o “socialisti”. Gli orrendi livelli di disoccupazione e povertà in Italia sono in gran parte il prodotto delle politiche perseguite dai cosiddetti governi di centro-sinistra. Mentre i governi di destra, sotto Silvio Berlusconi, sono stati caratterizzati da corruzione sfrenata e auto-arricchimento, i nomi dei primi ministri di centro-sinistra Romano Prodi, Massimo D’Alema e Matteo Renzi sono inseparabili dai tagli alla spesa pubblica e dall’austerità mirati contro la classe lavoratrice.

Un ruolo particolarmente spregevole è stato svolto da partiti come Rifondazione Comunista e Sinistra Ecologia Libertà (SEL), che hanno reclutato i loro membri da sezioni dell’ex partito comunista, da partiti di protesta piccolo-borghesi e sindacati. Mentre tentavano di dominare le proteste contro gli attacchi sociali e la guerra, hanno sempre sostenuto lo stato e il governo capitalista quando erano sotto pressione dal basso. Nel 2006, Rifondazione è persino entrata nell’odiato governo Prodi.

Più di 25 anni di esperienza con queste tendenze, che si sono ripetutamente raggruppate e ribattezzate, ha dimostrato irrevocabilmente che queste non sono organizzazioni di classe lavoratrice di sinistra o socialiste. Sono, invece, partiti di destra della classe medio-alta e della burocrazia sindacale, che difendono sempre l’ordine capitalista contro una minaccia dal basso.

Alcuni di loro ora partecipano alle elezioni sotto il nome di Potere al Popolo; questa è un’alleanza di falliti politici il cui compito principale è screditare il socialismo. Oltre a Podemos (in Spagna), Die Linke (in Germania) e La France insoumise (in Francia) di Jean-Luc Mélenchon, uno dei loro modelli è Syriza in Grecia, guidato dal primo ministro Alexis Tsipras, che ha imposto i brutali diktat di austerità della Troika sulla classe lavoratrice greca.

La bancarotta della cosiddetta “sinistra” è la ragione dell’ascesa del Movimento Cinque Stelle (M5S) guidato dal comico Beppe Grillo. Nel 2014, il M5S ha vinto un quarto di tutti i voti dopo che Mario Monti, un altro primo ministro sostenuto dai partiti di centrosinistra, ha scaricato l’impatto della crisi economica globale sulla classe lavoratrice imponendo brutali misure di austerità. Il successo di Grillo fu dovuto soprattutto alle sue instancabili e ripetute denunce della corruzione dell’élite politica.

Però oggi è diventato ovvio che il M5S è un partito di destra, Borghese. Lo dimostra il sostegno del M5S allo sciovinismo contro gli immigrati, la sua alleanza con l’UKIP britannico e l’Alternativa per la Germania, a livello europeo, e il suo coinvolgimento nella corruzione in città come Roma, dove è al governo. Due giorni dopo l’annuncio della data delle elezioni, il M5S ha anche tolto un passaggio, dalla sua costituzione, che proibiva la formazione di coalizioni con altri partiti.

“È ora di entrare nel governo”, ha dichiarato il candidato del M5S, Luigi Di Maio. “Non lasceremo l’Italia nel caos, ma lanciamo un appello a tutte le forze politiche nella notte delle elezioni e iniziamo a discutere”. Di Maio non ha dichiarato chi sarebbe stato il suo socio favorito. Ma tutti i partiti, in linea di massima, sono potenziali candidati, inclusi i partiti di estrema destra come Lega e Forza Italia di Berlusconi.

Se il M5S sta conducendo i sondaggi con quasi il 30 per cento dei voti, lo fa solo perché non esiste una seria alternativa di sinistra capace di mobilitare la classe lavoratrice contro il capitalismo e la guerra.

La rabbia sociale è al punto di ebollizione. Per questo motivo, tutti i partiti hanno concentrato le loro campagne elettorali sull’agitazione contro i profughi e gli immigrati. Questa agitazione anti-profughi mira a dividere la classe lavoratrice e a dirigere la rabbia degli sfruttati e degli oppressi contro la parte più vulnerabile della popolazione. Allo stesso tempo, incoraggia e rafforza le tendenze fasciste di destra, che stanno alzando la testa con crescente baldanza.

L’ 81enne Berlusconi, che non può candidarsi a causa di una condanna per frode fiscale, ha allineato la sua Forza Italia con la Lega e con i neofascisti di Fratelli d’Italia. Al presente è questa coalizione ad essere in testa nei sondaggi di opinione; traendo vantaggio dall’attuale politica xenofoba del governo democratico (PD), compreso l’armamento delle milizie in Libia e la costruzione di campi di concentramento per impedire ai rifugiati di raggiungere l’Italia.

Dall’inizio di febbraio, quando a Macerata un sostenitore della Lega ha sparato indiscriminatamente su un gruppo di immigrati, furibondi conflitti tra razzisti e antifascisti hanno dominato la campagna elettorale. Domenica scorsa in 100.000 hanno manifestato a Roma contro il razzismo e il fascismo, mentre a Milano hanno partecipato in 50.000 a una manifestazione xenofoba.

Le elezioni del 4 marzo intensificheranno la crisi sociale e politica dell’Italia. Mentre il PD, i suoi alleati e, in misura minore, Berlusconi e M5S promuovono l’UE e le sue politiche di austerità, la Lega e i gruppi fascisti la attaccano sostenendo il punto di vista del nazionalismo italiano. Entrambe queste politiche portano a un vicolo cieco e comportano gravi pericoli.

Il pericolo della guerra, l’ascesa delle forze di estrema destra e fasciste e gli attacchi ai diritti democratici e sociali possono essere fermati solo da un movimento che mobilita il potenziale rivoluzionario della classe lavoratrice italiana, europea e internazionale. Questo richiede la costruzione di una sezione italiana del Comitato Internazionale della Quarta Internazionale.

Le sezioni del CIQI, i Socialist Equality Parties, sono l’unica tendenza politica che ha difeso il programma marxista dell’internazionalismo socialista contro la socialdemocrazia, lo stalinismo e i loro sostenitori della pseudo-sinistra.

Lottiamo per un programma che colleghi la lotta contro la guerra, il fascismo e gli attacchi sociali con la lotta contro la loro fonte: il sistema del profitto capitalista. Non è possibile risolvere un singolo problema sociale senza espropriare le grandi banche, le corporazioni e i super-ricchi e organizzare la società in base ai bisogni sociali piuttosto che all’accumulo di profitto privato. La nostra risposta all’Unione Europea non è il rafforzamento dello stato nazionale, ma gli Stati Uniti Socialisti d’Europa.