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Gli scioperi generali in Italia contro la finanziaria 2026 dell’austerità e della guerra

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 27 novembre 2025

La proposta di legge di bilancio 2026 ha provocato un’ondata di opposizione che si sta coagulando in due scioperi generali nazionali: il primo, guidato dai sindacati di base USB, CUB, SGB e Cobas (piccole formazioni dichiaratamente di sinistra e “militanti”) il 28-29 novembre, seguito da uno sciopero separato proclamato dal ben più grande sindacato CGIL il 12 dicembre. Lo scontro che si sta sviluppando in Italia è un’eruzione politica della classe lavoratrice contro un governo che sta conducendo il paese verso austerità e militarismo.

La bozza di bilancio del governo fascista di Meloni è una dichiarazione di guerra alla classe lavoratrice italiana e internazionale. Modellata sul “Big Beautiful Bill” di Trump, è concepita per ristrutturare l’economia in funzione della spesa militare, dei profitti aziendali e di un governo autoritario. Al suo centro c’è il massiccio dirottamento di risorse pubbliche da salari, servizi essenziali e protezione sociale verso un programma pluriennale di riarmo allineato all’iniziativa europea Re-Arm e alle direttive strategiche della NATO.

Decine di miliardi vengono sottratti alla sanità, all’istruzione, alle pensioni e ai servizi locali per soddisfare gli obiettivi di spesa militare imposti da Bruxelles e Washington. I lavoratori sono costretti a finanziare una corsa alla guerra che rifiutano in modo categorico.

Un gruppo di lavoratori a Roma tiene uno striscione con scritto “Legge di bilancio sbagliata, sciopero generale” durante uno sciopero nazionale dei settori pubblico e privato indetto dai sindacati per protestare contro la legge di bilancio, venerdì 29 novembre 2024. [AP Photo/Gregorio Borgia]

La legge intensifica la precarietà del lavoro simultaneamente ampliando i subappalti, deregolamentando le assunzioni e incentivando i datori di lavoro a sostituire l’occupazione stabile con contratti brevi e a basso salario. Accelera le privatizzazioni, cedendo infrastrutture e servizi a interessi aziendali e finanziari. Ogni misura garantisce nuove fonti di profitto agli speculatori mentre aumenta i costi e riduce l’accesso ai servizi per la popolazione.

Il bilancio amplia la legislazione repressiva che criminalizza le proteste, aumenta i poteri di polizia e rafforza il controllo sul dissenso, così da soffocare l’inevitabile resistenza alla devastazione sociale che esso crea. È un meccanismo per scaricare la crisi del capitalismo sulla classe lavoratrice preparando al contempo l’architettura economica e giuridica per la guerra.

La classe lavoratrice ha risposto con rabbia e determinazione. All’inizio del mese, l’assemblea nazionale dei quadri e dei delegati dei sindacati di base ha votato un mandato per uno sciopero generale nazionale il 28–29 novembre. Sulla base di ciò, USB, CUB e altri sindacati di base hanno proclamato ufficialmente lo sciopero del 28 novembre in tutti i settori pubblici e privati.

USB e i sindacati di base hanno presentato il loro sciopero come un’azione militante contro l’austerità, incentrata sul recupero salariale, la difesa dei servizi pubblici, l’opposizione alla spesa militare e il rifiuto delle politiche sociali ed economiche del governo.

USB e CUB hanno emesso accuse politiche contro la legge di bilancio 2026 e la più ampia agenda di guerra. Entrambi denunciano lo spostamento di risorse da salari e servizi essenziali verso il riarmo, e condannano l’Italia e l’UE per il sostegno al genocidio israeliano a Gaza. Contestano la conversione dell’industria e della ricerca a fini militari, il transito di armi attraverso i porti e l’espansione delle leggi repressive contro il dissenso.

La legge, dichiarano, saccheggia il futuro dei lavoratori attraverso privatizzazioni, subappalti e un previsto aumento di 22 miliardi di euro nella spesa militare, al servizio degli interessi aziendali e imperialisti a spese della classe lavoratrice.

La CGIL, il più grande sindacato italiano, è intervenuta quasi una settimana dopo con uno sciopero generale separato e intenzionalmente disallineato, previsto per il 12 dicembre.

L’azione della CGIL è strettamente focalizzata sulla legge di bilancio, con rivendicazioni relative a salari, “giustizia” fiscale, sanità pubblica, istruzione, pensioni, precarietà e politica industriale. Questa piattaforma corrisponde alla tradizionale campagna istituzionale della CGIL per modesti emendamenti alla legge finanziaria. Il suo obiettivo è contenere la rabbia dei lavoratori entro canali approvati dallo Stato e preservare il ruolo del sindacato nell’apparato governativo. La CGIL sta lavorando per ricondurre la crescente opposizione verso appelli allo stesso governo che impone austerità e militarizzazione.

Il malcontento in Italia fa parte di un'ondata internazionale di resistenza. In tutta Europa i lavoratori affrontano lo stesso programma: tagli alle protezioni sociali, aumento del peso sulle masse popolari e dirottamento di fondi massicci verso la militarizzazione.

In Belgio è stato indetto uno sciopero generale il 26 novembre contro i tagli alle pensioni, l’abolizione dell’indicizzazione salariale e la riduzione dei sussidi, mentre il governo aumenta la spesa militare per raggiungere l’obiettivo del 2 percento richiesto dalla NATO. In Portogallo, uno sciopero nazionale l’11 dicembre si oppone a riforme del lavoro draconiane sotto un governo di destra sostenuto dal partito fascista Chega, mentre il Portogallo si impegna a portare la spesa militare al 5 percento del PIL entro il 2035.

Queste proteste affondano le radici in una crisi più profonda: i governi europei stanno usando la guerra NATO-Russia come copertura geopolitica e giustificazione economica per austerità e riarmo. Considerano la guerra un’opportunità per accelerare una controrivoluzione sociale, aumentare i poteri di polizia, reprimere il dissenso e far pagare ai lavoratori le ambizioni guerrafondaie delle loro classi dominanti.

Il bilancio italiano è pienamente allineato a questa traiettoria. Il suo previsto aumento della spesa militare riflette la logica più ampia della NATO. In questo senso, gli scioperi di USB e CGIL non sono solo azioni industriali: sono proteste contro il ruolo sempre più profondo dell’Italia nella guerra imperialista e contro l’impoverimento sistematico della classe lavoratrice.

Gli scioperi generali avvengono dopo un’importante eruzione di opposizione della classe lavoratrice in Italia all’inizio del 2025, quando scoppiarono proteste di massa contro la complicità italiana nel genocidio a Gaza. A settembre e ottobre, decine di migliaia di persone sono scese in piazza in più di 75 città. Le reti di trasporto sono state interrotte, le scuole chiuse e i lavoratori portuali si sono rifiutati di caricare o scaricare navi con armi. Questo movimento ha costretto le burocrazie sindacali a indire azioni di massa, rivelando il potenziale esplosivo della mobilitazione dal basso.

La rabbia non si è affievolita. Si sta riversando nell’opposizione alla legge di bilancio 2026 e nella più ampia lotta contro il militarismo.

Ciò che sta emergendo in Italia sono le fasi iniziali di una crisi rivoluzionaria mondiale. In tutta Europa, governi di destra stanno intensificando austerità, militarizzazione e repressione. Le classi dirigenti si preparano alla guerra all’estero e al confronto di classe in patria. I lavoratori cominciano a reagire.

Il più grande ostacolo rimangono le burocrazie sindacali. La CGIL agisce come strumento per contenere e disarmare la classe lavoratrice. USB e CUB, nonostante la loro combattività, rimangono limitate da un quadro nazionale e da direzioni legate a tradizioni anarchiche, staliniste e burocratiche che non possono rompere in modo decisivo con l’ordine capitalistico. Le loro rivendicazioni, per quanto radicali, evitano deliberatamente una lotta di classe aperta per rovesciare il governo Meloni ed estendere la lotta ad altri paesi.

Nessuno dei problemi che la classe lavoratrice italiana affronta è “italiano.” La loro radice è la crisi mondiale del capitalismo. La classe lavoratrice deve respingere ogni inquadramento nazionalista della lotta, ogni negoziato con il governo e ogni tentativo dell’apparato sindacale di limitarne la portata. Occorre costruire in ogni luogo di lavoro una rete internazionale di comitati operai indipendenti, democraticamente controllati e coordinati. Questi organismi, non le direzioni sindacali, possono unificare la lotta contro l’austerità, contro il militarismo e contro il sistema capitalistico che genera entrambi, sulla base di una strategia per il potere dei lavoratori.

L’internazionalismo non può essere ridotto a presenze simboliche di figure pubbliche o al linguaggio cosmetico di partiti che operano interamente entro i confini nazionali. La partecipazione agli scioperi di personalità come Greta Thunberg, Francesca Albanese, Roger Waters o Yanis Varoufakis non conferisce di per sé un carattere internazionalista al movimento. Varoufakis in particolare, responsabile del tradimento storico di SYRIZA e della catastrofe sociale prodotta in Grecia, simboleggia precisamente l’adattamento delle forze di pseudo-snistra ai dettami del capitalismo europeo.

La via da seguire per i lavoratori in Italia, Belgio, Portogallo, Grecia e in tutta Europa consiste in una lotta unificata per rovesciare l’ordine sociale che impone austerità e guerra. O la classe lavoratrice affronta la macchina da guerra capitalista e i suoi rappresentanti politici, o sarà costretta a pagare in sangue la prossima fase del conflitto imperialista.

Gli scioperi generali del 28 novembre e del 12 dicembre rappresentano un passo importante in questo confronto in via di sviluppo. Il loro significato ultimo, e il loro successo, dipenderà dal fatto che i lavoratori prendano l’iniziativa, si liberino dal controllo burocratico e avanzino una autentica strategia socialista e internazionalista contro la guerra e la disuguaglianza.

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