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L’Unione Europea teme un No al referendum italiano

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 28 novembre2016

Domenica gli elettori decideranno sulla riforma costituzionale proposta dal Primo Ministro Matteo Renzi. La riforma prevede l’abolizione del sistema parlamentare bicamerale, riducendo le dimensioni del Senato e dei suoi poteri. Renzi sostiene che questa riforma faciliterà notevolmente i processi decisionali alla Camera dei Deputati. Inoltre, la nuova legge elettorale “Italicum”, approvato l’anno scorso, avvantaggia enormemente il partito più forte conferendo di conseguenza maggiore potere al primo ministro.

La riforma della Costituzione è l’elemento chiave del programma politico del 41enne Renzi, che ha assunto il governo nel febbraio 2014 dopo un golpe all’interno del Partito Democratico; Renzi non è mai stato eletto attraverso un’elezione e mira alla marginalizzazione del Senato, nel quale sono rappresentati numerosi partiti minori; grazie all’"Italicum”, che assicura automaticamente al partito più forte la maggioranza assoluta dei voti alla Camera dei Deputati, e a rafforzare il proprio potere nel promuovere le sue riforme neoliberiste, alla luce di una forte resistenza sociale.

La riforma è un ovvio passo verso un regime autoritario. Secondo lo storico anglo-italiano Paul Ginsborg, “Una riforma così pensata, messa in relazione anche con l’Italicum, tradisce una chiara intenzione di restringere il potere politico in direzione di una Repubblica Presidenziale, ossia di un uomo forte al potere. Già solo questo elemento mi porta a essere dubbioso verso la riforma”.

Per aumentare la pressione per l’introduzione della riforma, Renzi ha legato il suo destino politico al referendum e ha ripetutamente minacciato di dimettersi se la riforma non passa. Più di recente, tuttavia, si è distanziato da tale “minaccia”. Nel frattempo il referendum ha sviluppato una propria dinamica e si è trasformato in un voto sulle politiche di Renzi.

Secondo gli ultimi sondaggi, una maggioranza è a favore della riforma costituzionale, ma ha deciso di votare “no” per dimostrare la sua opposizione al governo. Il 91enne, ex-presidente, Giorgio Napolitano, ha cercato di promuovere Renzi e le sue argomentazioni; a “Porta a Porta”, in televisione in prima serata, Napolitano ha tenuto a sottolineare che ” non si vota né per questo governo né contro, ma per ciò che è scritto in questa riforma”.

Solo pochi giorni prima del voto del 4 dicembre, l’esito del referendum è ancora completamente aperto. Nelle tre settimane prima del voto non sono ammessi sondaggi d’opinione, ma le ultime tendenze pubblicate danno un 7 per cento di vantaggio agli avversari del referendum, mentre dal 10 al 25 per cento delle persone intervistate resta indecisa.

La possibilità di fallimento del referendum ha messo in allarme i sostenitori dell’Unione Europea e i rappresentanti della élite finanziaria in Italia e in tutta Europa; essi temono che la quarta economia in Europa possa immergersi in un lungo periodo di recessione e di instabilità politica, dovesse il referendum fallire e Renzi dimettersi. In caso di nuove elezioni, una maggioranza ostile all’UE potrebbe assumere la direzione del governo, per la prima volta, in un paese tradizionalmente orientato verso l’ UE; questo potrebbe essere un ulteriore passo, dopo il voto Brexit, verso lo smantellamento dell’UE.

Secondo i media, la Confindustria teme una recessione come conseguenza a un “no” al referendum. La Borsa di Milano, l’indice finanziario più importante in Italia, è in costante calo e i premi di rischio per le obbligazioni bancarie italiane sono aumentati del 20 per cento negli ultimi sei mesi—sintomo significativo della crisi.

In un sondaggio di Bloomberg, 41 su 42 dei top manager ha parlato a favore della riforma costituzionale di Renzi. “Spero che sia un sì”, ha detto il CEO di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne, durante la visita di Renzi alla conferenza di Cassino.

A quanto pare, potenti istituti finanziari minacciano di bloccare i programmi di salvataggio delle banche italiane, nel caso di un “no”. I prestiti in sofferenza nei libri contabili delle banche italiane sono stimati a € 360 miliardi, con la banca Monte dei Paschi di Siena in pericolo immediato.

Il Süddeutsche Zeitung, sotto il titolo “Italia: Stringere le cinture di sicurezza”, ha scritto: “Secondo Goldman Sachs, a seguito di una sconfitta di Renzi, l’aumento di capitale previsto [per Monte dei Paschi] non potrà essere finanziato. Ci potrebbe quindi essere un effetto a cascata per altri istituti finanziari, che dovranno raccogliere miliardi nei prossimi mesi ”.

Renzi stesso ha viaggiato su e giù per il paese, presentando le sue motivazioni per un “sì"; ha incontrato le vittime di terremoti e inondazioni, discusso con gli avversari della riforma ed è stato festeggiato dai suoi sostenitori in programmi televisivi; tuttavia, tre anni dopo le sue ampiamente pubblicizzate promesse di “rottamare” la vecchia élite e di modernizzare il paese, Renzi ha perso il suo fascino.

Le sue riforme delle pensioni, del mercato del lavoro e della scuola hanno avuto conseguenze devastanti per una gran parte della popolazione, e la situazione economica non è affatto migliorata. In condizioni di crescente povertà per gli anziani, diminuzione dei salari, tagli dei posti di lavoro, fallimenti aziendali e un tasso ufficiale di disoccupazione giovanile al 37 per cento, Renzi è detestato da molti.

Perfino una parte del PD, i suoi sindacati e i gruppi di pseudo-sinistra associati non si sentono più in grado di sostenere Renzi. I sindacati CGIL e FIOM, un’ala del PD, Sinistra Italiana, (a cui l’ex leader SEL Nichi Vendola e alcuni membri apostati del PD hanno aderito un anno fa), così come Rifondazione Comunista e gruppi simili hanno aderito al campo “no”. Anche l’ex primo ministro Massimo D’Alema (1998-2000) ha parlato contro la riforma della Costituzione.

Ma dopo quasi 25 anni di attacchi alle conquiste sociali e politiche della classe lavoratrice da parte dei cosiddetti governi di “sinistra”, sostenuti dai sindacati, sono soprattutto i partiti di destra che stanno maggiormente beneficiando dalla rabbia diretta contro Renzi.

In particolare, il M5S, guidato dal comico Beppe Grillo, che ha sempre abbracciato posizioni xenofobe e nazionaliste e attacca l’UE da destra, sta guadagnando influenza. Ormai quotidianamente Grillo insulta il capo del governo sul suo blog, chiamando Renzi un “serial killer” (perché priva i giovani di un futuro), e compara la campagna di Renzi alle urla di una “scrofa ferita”.

Quel che resta del partito guidato da Silvio Berlusconi, che aveva proposto una riforma costituzionale simile, ossia la Lega Nord e i fascisti di Fratelli d’Italia si sono battuti con forza per un “no”. Questo nonostante il fatto che, secondo un sondaggio, un quinto dei sostenitori di questi partiti appoggino la riforma, che propone gran parte di ciò che essi stessi hanno richiesto da tempo: la riduzione della burocrazia statale e l’introduzione di uno stato autoritario.