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Matteo Renzi si dimette dopo la sconfitta del referendum costituzionale

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 5 dicembre 2016

Il primo ministro Matteo Renzi ha annunciato le sue dimissioni ieri, dopo che gli elettori hanno inflitto un’umiliante sconfitta al suo referendum sulle modifiche costituzionali che avrebbero cambiato le leggi elettorali allo scopo di rafforzare notevolmente i poteri del primo ministro.

La partecipazione del 68 per cento dei votanti è stata molto più grande di quello che ci si aspettava e gli emendamenti proposti da Renzi sono stati rigettati dal 59 percento dei votanti contro il 41 percento dei sostenitori.

Mezz’ora dopo la mezzanotte, Renzi è apparso in televisione nazionale ammettendo la sconfitta. Ha riconosciuto la portata decisiva del voto contro di lui. “Accetto la piena responsabilità” per il fallimento del referendum, ha detto in un breve discorso, aggiungendo che oggi sarebbe andato al Quirinale per presentare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il voto riflette la profonda opposizione al governo del Partito Democratico di Renzi e alle politiche di austerità dell’Unione Europea, introdotte in Italia dal crollo di Wall Street del 2008.

Gli emendamenti costituzionali proposti erano inequivocabilmente reazionari. Un “sì” avrebbe trasformato il Senato in un organismo non eletto, spogliato dei suoi poteri di far cadere un primo ministro. La Camera dei Deputati avrebbe potuto nominare al governo un primo ministro, senza alcuna opposizione significativa da parte del potere legislativo, e costui avrebbe potuto governare autoritariamente.

Il referendum è stato visto come l’ultima possibilità, per le banche e l’UE, di affrontare la crisi bancaria italiana nel quadro della UE e dell’euro. Le banche italiane si trovano con un massiccio € 360 miliardi di crediti in sofferenza, proprio quando il tessuto economico e industriale in Italia è crollato, tra austerità e disoccupazione di massa. Si parla sempre più di un “bail-in” secondo le normative dell’UE, attraverso il quale le banche in difficoltà andrebbero a recuperare le loro perdite dal denaro dei loro depositanti o dai piccoli risparmiatori che hanno investito i propri fondi in obbligazioni bancarie italiane.

Una vittoria del referendum avrebbe lasciato a Renzi mano libera per attaccare spietatamente l’opposizione della classe lavoratrice ai tagli sociali, generando fallimenti aziendali e altri assalti, come il “bail-in”, che la classe dirigente italiana sta comunque preparando.

Il voto è stato anche un rigetto dell’UE, la cui Commissione è intervenuta, attraverso il suo presidente Jean-Claude Juncker, a sostenere il referendum di Renzi e a lodarlo per la sua imposizione di “giuste riforme”.

Anche Wolfgang Schäuble, di destra, ministro della finanza tedesco, che ha giocato un ruolo di primo piano nella progettazione delle misure di austerità in tutta l’Europa meridionale, ha approvato il referendum di Renzi, dichiarando: “Se potessi votare, voterei per lui, anche se lui viene da un campo politico diverso... Gli auguro successo”.

Il voto del referendum sottolinea la profonda crisi delle istituzioni del capitalismo europeo e mondiale, un mese dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti che ha sbalordito il mondo e scosso l’establishment politico europeo.

Tra le masse dei lavoratori e dei giovani di tutta Europa è presente una profonda rabbia e disillusione politica contro l’UE e i propri governi nazionali. In Italia il referendum è avvenuto solo sei mesi dopo che la Gran Bretagna ha votato per lasciare l’UE, contro l’invito del governo, capeggiato dai conservatori, a rimanere all’interno dell’Unione. Adesso un’altra importante economia europea - un’economia che, a differenza della Gran Bretagna, è anche al centro della moneta comune europea - ha votato contro l’UE e contro il suo governo filo-UE.

Ma il pericolo principale, che la classe lavoratrice si trova a confrontare adesso, è che l’opposizione al referendum è stata monopolizzata, fino ad ora, principalmente da forze che si appellano a un nazionalismo aggressivo.

Il Presidente Sergio Mattarella si aspetta di ricevere oggi le dimissioni di Renzi. È improbabile che Mattarella solleciti Renzi a ripensarci, visto il risultato del referendum.

Dopo di che il Presidente della Repubblica terrà consulto con varie cariche istituzionali e capi di partito per valutare se possa essere formato un nuovo governo di maggioranza. Ma nonostante una maggioranza PD alla Camera dei Deputati, resta incertezza: uno dei problemi è la crisi scoppiata all’interno del PD negli ultimi mesi.

Le spaccature all’interno del PD erano chiaramente visibili già prima del voto; l’ex-stalinista ed ex-premier Massimo D’Alema era contrario agli emendamenti costituzionali di Renzi. Ma le sue contestazioni, tuttavia, sono puramente tattiche, vale a dire, centrate su come contenere il malcontento sociale e mettere in atto le misure anti-lavoratori in modo più efficiente.

Mattarella potrebbe nominare un nuovo premier democratico. Tuttavia, una tale mossa rischia di provocare sconvolgimenti sociali, vista la serie di governi tecnici impopolari e non eletti degli ultimi cinque anni, il cui comune ordine del giorno è sempre stato quello di attaccare i lavoratori, a vantaggio di banche e grande industria.

Se la maggioranza non è raggiunta, a seguito delle consultazioni di Mattarella, il Presidente può richiedere la dissoluzione sia della Camera che del Senato e indire elezioni anticipate; questo è proprio quello che vuole la maggior parte dei partiti di opposizione, in quanto stanno approfittando della vittoria del “no” e stanno cercando di sfruttarla per promuovere i loro programmi reazionari.

La mancanza di una opposizione veramente di sinistra al PD ha permesso alle forze di destra di presentarsi demagogicamente e falsamente come difensori degli oppressi e degli sfruttati.

Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle (M5S), partito di destra, ha rilasciato una dichiarazione in cui ha esultato: “Ha vinto la democrazie... Gli italiani devono essere chiamati al voto al più presto”. Grillo ha affermato che avrebbe ritirato la sua critica all’attuale legge elettorale (italicum) per evitare “l’insediamento di un governo tecnico alla Monti”. In caso di elezioni anticipate, il M5S è nella posizione di guadagnare voti sostanziali; se raggiunge il 40 per cento dei voti, vincerà il 54 per cento dei seggi della Camera.

Giorgia Meloni, leader del fascista Fratelli d’Italia, fa richieste simili, mischiate ad una retorica populista: “Ci devono essere nuove elezioni a tempo molto breve ... Gli italiani non vogliono essere governati da governicchi frutto di inciuci con le grandi multinazionali… deve essere il prodotto di una consultazione popolare; l’Italia non si può permettere il quarto governo di fila frutto di un inciucio di palazzo”.

Similarmente, lo sciovinista Matteo Salvini, capo della Lega Nord ha inneggiato a una “vittoria di popolo contro i poteri forti di tre quarti del mondo, niente governicchi, elezioni subito”.

Renato Brunetta di Forza Italia ha avuto un tono più conciliante: ” Il Pd ha la maggioranza ed ha il dovere di fare un altro governo visto che in Parlamento ha la maggioranza ma senza Renzi”.

Anche la pseudo-sinistra ha celebrato il “no”, ma solo per assicurarsi di mantenere il controllo dell’opposizione popolare e impedire una mobilitazione indipendente della classe lavoratrice: criticando ipocritamente Renzi per le sue politiche anti-operaie, dopo aver sostenuto la sua nomina a premier. Il leader di SEL, Nichi Vendola, ha segnalato la sua disponibilità a canalizzare nuovamente l’opposizione nel vicolo cieco della falsa sinistra: “La spinta propulsiva del renzismo si è esaurita; oggi è un grande giorno per la sinistra per ricominciare”.

Significativamente, la vulnerabilità delle banche italiane è il punto focale dell’attenzione dei mercati internazionali. Il “no” segnala il fallimento del tentativo di mettere in atto dure politiche di ristrutturazione volte ad eliminare le piccole banche e, in ultima analisi, attaccare la posizione sociale della classe lavoratrice.

Il Monte dei Paschi di Siena (MPS), la più antica banca del mondo, è ad alto rischio. Investitori dal Qatar e dagli Stati Uniti hanno annunciato che stavano aspettando i risultati del referendum prima di impegnarsi a diventare “anchor investors”, una mossa che avrebbe garantito un’infusione di capitale di 1, 5 miliardi di euro. Il collasso del MPS ha il potenziale di causare una crisi allargata del sistema bancario italiano, così come dell’intera zona euro.