Italiano

Governo in crisi in Italia: il segretario dei democratici sostiene il post-fascista Fini

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in tedesco il 17 agosto 2010 e in inglese il 18 agosto 2010.

I leaders del Partito Democratico e di Rifondazione Comunista hanno giurato il loro sostegno al post-fascista Gianfranco Fini nel suo scontro con il capo del governo italiano Silvio Berlusconi. Sia il Partito Democratico che Rifondazione Comunista traggono origine dal Partito Comunista Italiano del secondo dopoguerra, guidato da Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer.

La più aperta dichiarazione di sostegno a Fini è venuta da Piero Fassino, l’ex dirigente dei Democratici di Sinistra, predecessori del Partito Democratico. Quando gli è stato chiesto se i democratici sostenevano realmente Gianfranco Fini, Fassino ha risposto il 12 agosto sull’ Espresso, “A fasi di emergenza, alleanze di emergenza. Nessuno è così sciocco da pensare che Fini sia di sinistra. ma se è la via per arrivare a scardinare il berlusconismo qual è il problema, scusi?”

Rispetto ad un governo ad interim “il raggruppamento finiano è certo un interlocutore” assieme ai partiti di opposizione e ai moderati dell’UDC, ha spiegato Fassino.

Lo stesso genere di argomentazione è stato sostenuto nei giorni seguenti da altri dirigenti del PD e del PRC. A difesa dell’interesse nazionale i dirigenti di questi partiti hanno sostenuto l’esigenza di una larga alleanza che vada “oltre il campo del centro-sinistra” che possa includere Fini.

Chi è Fini?

Fini è l’attuale Presidente della Camera dei Deputati e ex-leader della post-fascista Alleanza Nazionale. Fini è stato il primo dirigente post-fascista a diventare ministro nel governo italiano del 1994. Nello stesso anno, Fini sostenne che Benito Mussolini fosse stato “il più grande statista del Ventesimo Secolo”.

Nel corso degli anni‘ 90 Fini si è sempre di più dissociato da tali dichiarazioni pubbliche a sostegno del fascismo e ha trasformato il MSI fascista in Alleanza Nazionale (AN). AN è rimasto un partito statale autoritario, i cui membri hanno teso sempre a riabilitare e popolarizzare il fascismo. Un anno fa Fini ha fuso Alleanza Nazionale con Forza Italia di Silvio Berlusconi per formare il partito del Popolo della Libertà (PdL).

Alla fine di luglio, Fini è stato espulso dal partito da Berlusconi, che ha accusato il suo alleato di un tempo di “critiche distruttive”. Fini ha risposto formando un nuovo partito, Futuro e Libertà (FLi), assieme con 34 deputati e 10 senatori, privando così Berlusconi della sua maggioranza in parlamento.

L’aperta rottura tra i due alleati è emersa sulla questione della legge-censura (bavaglio) e su altre riforme giuridiche promesse da Berlusconi (vedi l’articolo: “Il governo Berlusconi sconvolto da scandali e crescenti tensioni"). Inoltre Fini si è rifiutato di difendere un certo numero di ministri e sottosegretari di Berlusconi accusati di corruzione. Fini ha dichiarato di non vedersi come un dipendente d’azienda.

Perché Fini ora si oppone a Berlusconi? Fini non è un sostenitore della democrazia e certamente non è un amico dei lavoratori. Lo scenario dello scontro tra i due uomini è quello della crisi economica che ha condotto lo stato italiano a imporre drastiche misure economiche sulla popolazione. La serie di scandali legati alla figura di Berlusconi, i suoi legami con la mafia e la sua aperta corruzione, sono visti come una minaccia all’autorità dello Stato e del governo.

Berlusconi ha sempre guardato al potere politico, in primo luogo e prima di tutto, come un mezzo per proteggere il suo impero affaristico dalla bancarotta e sottrarsi alla prigione. È l’uomo più ricco d’Italia, possiede tre televisioni, una casa editrice, una banca e una compagnia di assicurazioni, ma è incapace di rispondere alle necessità della borghesia nella crisi.

Un certo numero di imprenditori della Confindustria hanno espresso la loro insoddisfazione verso Berlusconi. Il Presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha chiesto “chiare riforme” e ha detto al Il Sole 24 Ore di vedere un ampio senso di “rabbia, amarezza, incomprensione per quel che sta accadendo: tutti sentimenti che condivido... è sconfortante vedere che è stato eletto per governarci si perde in baruffe che nel futuro faranno arrossire in tanti”.

Il Presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, ha fatto sapere attraverso la Fondazione Italia Futura che ritiene Berlusconi responsabile della bancarotta della Seconda Repubblica: “Questa legislatura si sta chiudendo con un conflitto istituzionale, e tra schizzi di fango, senza precedenti”.

Critiche all’operato del governo Berlusconi piovono un po’ da tutta Europa. L’autorevole giornale della borghesia tedesca FAZ scrive che “L’Italia si sta lacerando in un momento in cui ci sarebbe la necessità di un governo stabile capace di garantire politiche di austerità.”

Fini appartiene a quella tradizione dell’apparato statale che è preparata e capace di usare mezzi brutali contro gli oppositori. Una serie di “uomini forti” del governo provengono da Alleanza Nazionale. Si tratta di figure come il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il quale ha schierato le truppe in tutto il paese e mobilitato le milizie private sul territorio, oltre ad aver usato le navi militari nel Mediterraneo per combattere i migranti.

Allo stato attuale, il duello tra Fini e Berlusconi resta aperto. Il Presidente del Consiglio ha ancora il sostegno della razzista Lega Nord, guidata da Umberto Bossi. La vittoria del governo nelle ultime elezioni regionali di marzo è stata largamente dovuta all’alleanza tra Bossi e Berlusconi. Questo è il motivo per cui Bossi ora chiede nuove elezioni, nella speranza di rafforzare il suo potere e introdurre misure che conducano alla rottura federalista del paese.

Berlusconi è andato in vacanza, promettendo che preparerà un nuovo programma di governo che abbia come obiettivi la riforma del sistema fiscale e il sistema giudiziario e che allo stesso tempo sia più federalismo che un programma di sviluppo per il Sud Italia. A settembre il premier pensa di far passare questo nuovo programma attraverso un voto di fiducia in parlamento.

E’ del tutto possibile che Berlusconi non riesca a ottenere la maggioranza. Allora l’alternativa sarebbe un governo a interim, il cosiddetto “governo dei tecnici”, o nuove elezioni. In questa situazione i cosiddetti partiti di “sinistra” sono pronti a creare un’alleanza con il post-fascista Fini.

Una nuova alleanza di governo

Dopo la sua espulsione dal partito di governo, il PdL, Gianfranco Fini si è unito al democratico cristiano Pierferdinando Casini (UDC) e con Francesco Rutelli per formare una nuova organizzazione politica.

Casini aveva in precedenza sostenuto Berlusconi ma senza aderire al suo partito. Fino al 2009 Rutelli faceva parte dei democratici e si era confrontato con Fini nella corsa al posto di Primo Cittadino di Roma nel 1993. Oggi guida un suo partito chiamato Alleanza per l’Italia (ApI), e saluta Fini come un uomo “che ha guadagnato il nostro rispetto”.

I media hanno stimato che il nuovo raggruppamento di Fini e Casini potrebbe raggiungere il 13 per cento dei voti. Con il sostegno del “centro-sinistra”, questo polo potrebbe essere un avversario credibile per Berlusconi. Secondo la società di sondaggi Spincon, i democratici potrebbero raggiungere il 25.4 per cento dei voti contro il 30 per cento del PdL berlusconiano-perdendo 7 punti rispetto alle ultime elezioni parlamentari dell’aprile 2008.

Inoltre un nuovo scandalo è scoppiato nel parlamento italiano poco prima della pausa estiva. Il sottosegretario per la Giustizia è stato accusato, assieme ad altri politici legati a Berlusconi, di avere fondato una società segreta denominata P3. L’opposizione ha presentato una mozione contro Caliendo, che è stata votata il 4 agosto. I sostenitori di Berlusconi hanno urlato “Giuda, Giuda” contro Fini durante le votazioni. Da parte sua Fini ha salvato Caliendo votando scheda bianca e assicurando quindi la sopravvivenza politica a Berlusconi, almeno per il momento.

Tale atteggiamento ha irritato Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico e capo dell’opposizione, che ha accusato Fini di far guadagnare tempo a Berlusconi.

Appelli di Bersani e Ferrero

Il 10 agosto Bersani ha pubblicato un appello per un “fronte comune di tutte le opposizioni nel caso si giungesse rapidamente a nuove elezioni”. In questo appello, Bersani esprime la sua preferenza per un governo tecnico con il solo scopo di cambiare “l’infame legge elettorale”. Comunque, scrive Bersani, “se le elezioni si profilassero come inevitabili noi ci rivolgeremmo alle forze del centrosinistra e dell’opposizione per una strategia comune”.

Alla metà di giugno, aveva già chiarito che si stava preparando a sostenere Fini. Quando gli è stato chiesto in radio se era pronto a un’alleanza con fini, Bersani rispondeva che “Davanti a un problema di profilo costituzionale, a una resa di conti tra modello populistico e modello rappresentativo... io vado con chiunque” Bersani ha dato la stessa risposta a un altro giornale, sottolineando che “abbiamo bisogno di un ampio patto in parlamento”.

In un’altra occasione Bersani ha presentato Fini come un “politico raffinato”. Sul sito internet di libero-news.it ha dichiarato che benché Fini abbia sostenuto tutte le decisioni presentate dal governo di centro-destra, “ora propone con nettezza un’altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell’unità del Paese”.

L’appello di Bersani del 10 agosto ha trovato una sponda già durante la stessa giornata nell’Italia dei Valori, nei Verdi e anche in Rifondazione Comunista. Il segretario del PRC, Paolo Ferrero, ha immediatamente spedito una lettera aperta a tutte le segreterie dei partiti di opposizione. Dopo l’umiliante sconfitta nelle elezioni di due anni fa, il PRC ha costantemente perso iscritti e si è ridotto a una sdentata propaggine del PD.

Nella sua lettera aperta Paolo Ferrero ha descritto la situazione come una “Weimar al rallentatore” e ha dichiarato che la crisi finirà con un ristabilimento della democrazia o con un ulteriore restringimento in senso antidemocratico”.

La situazione è seria, ha continuato, appellandosi alla costruzione di un Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) basato sulla Costituzione, che restauri la democrazia e la rappresentanza proporzionale e introduca una nuova redistribuzione sociale.

Con il suo richiamo al Comitato di Liberazione Nazionale, Ferrero fa un richiamo al movimento partigiano contro il fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il CLN fu creato nel 1943 e guidò la lotta contro i fascisti e le truppe naziste. I dirigenti del Partito comunista Italiano lavorarono assieme alla Democrazia Cristiana in questo comitato. E’ su questa base che Ferrero sostiene l’ipotesi di un governo di unità nazionale, aprendo le porte per una collaborazione del suo partito con i politici democratici cristiani.

Durante le ultime elezioni regionali di marzo, il PRC aveva già collaborato strettamente non solo con i democratici ma anche con i democratici cristiani dell’UDC in quattro regioni. Allora Ferrero aveva già sollevato la faccenda del Comitato di Liberazione Nazionale e aveva dichiarato: “Non ci piace la UDC, come immagino ai partigiani non piacessero particolarmente i monarchici con cui pure si allearono in funzione antifascista”.

Il riferimento al CLN è rivelatore. Il Comitato di Liberazione Nazionale, così come il governo di unità antifascista del dopoguerra, era un prodotto della politica stalinista dei fronti popolari. In entrambi i casi ciò condusse alla subordinazione della classe lavoratrice agli interessi della borghesia e rese possibile la ricostruzione dello stato capitalista. Il leader del PCI Palmiro Togliatti riconobbe la Chiesa Cattolica e, nel suo ruolo di Ministro della Giustizia, realizzò una amnistia generale per i criminali fascisti.

Il campo stalinista ha ripetutamente giocato un ruolo decisivo ogni volta che il capitalismo italiano ha incontrato difficoltà. Durante i violenti conflitti degli anni‘ 60 e‘ 70, Enrico Berlinguer propose un “compromesso storico” tra il PCI e la Democrazia Cristiana.

Oggi sono pronti ad accettare un “governo dei tecnici” con Casini o persino Fini-un regime che mancherebbe di ogni legittimità democratica. Nell’attuale crisi economica, ciò rappresenterebbe niente di meno che dare carta bianca alle banche e agli imprenditori per costituire un loro governo che avrebbe lo scopo di una più rapida introduzione di misure di austerità.