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Lo Stato rafforza la sua presenza in seguito all’attacco a Charlie Hebdo

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 13 gennaio 2015

All’indomani dell’attacco terroristico a Parigi, l’Italia ha rafforzato il suo apparato statale e limitato le libertà civili, mentre lo sciovinismo anti-immigrati cresce.

Subito dopo l’attacco a Charlie Hebdo, la presenza della polizia negli aeroporti, davanti alle ambasciate, agli edifici pubblici, uffici di giornali e piazze è stata aumentata di decine di migliaia di forze dell’ordine. Secondo il ministro dell’Interno Angelino Alfano (Nuovo Centro Destra o NCD), “l’Italia è sicura, ma non escludiamo fatti drammatici.”

Il primo ministro Matteo Renzi, con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e Alfano, si è precipitato a Parigi, per partecipare alla conferenza sulla sicurezza dell’Unione Europea, incluse discussioni con decine di altri capi di Stato e l’ex generale e direttore della CIA Michael Hayden.

Da Bruxelles, Alfano ha riferito che ci sarà un accordo, a livello europeo, sulla condivisione delle informazioni dei viaggiatori; le compagnie aeree sarebbero obbligate a conservare i dati dei loro passeggeri fino a cinque anni.

Subito dopo l’attacco terrorista, il ministro dell’Interno ha annunciato il rinforzamento delle leggi italiane sull’anti-terrorismo. In un’intervista su RaiTre, Alfano ha detto che presenterà una proposta di legge al consiglio dei ministry che permetterebbe alla polizia di confiscare il passaporto di chiunque sia sospetto di terrorismo.

Inoltre, Alfano dice di voler conferire poteri di emergenza alla polizia per espandere la sorveglianza di Internet. Già era intenzione del governo di chiudere i siti web sospetti. In futuro, gli Internet providers dovranno collaborare con gli sforzi per “trovare i messaggi di radicalizzazione sul web”, ha detto Alfano. Ha aggiunto che “pensiamo di imporre ai providers su ordine dell’autorità giudiziaria, di interdire l’accesso ai siti che incitino a tenere condotte terroristiche”.

E’ chiaro che Alfano ha preso la palla al balzo per attuare piani che sono pronti da qualche tempo. Ha ricoperto la carica di ministro della Giustizia sotto il governo di Silvio Berlusconi, ma ora è il vice capo di una coalizione guidata da Renzi e dal PD che, ufficialmente, appartiene al campo del centro-sinistra ed è questa coalizione che ora sta mettendo in opera le misure, da lungo pianificate, per uno stato di polizia.

Alfano ha dichiarato che “siamo parte dell’Occidente che è sotto attacco”, e che l’Italia è a rischio perché “ospitiamo il Papa a Roma... e perché siamo amici degli Stati Uniti”. Dietro queste frasi si nasconde una stretta cooperazione militare con Washington. Nel mese di agosto del 2014, l’Italia ha fornito armi e munizioni alle milizie Peshmerga; sostiene inoltre la guerra in Siria e in Iraq.

Le restrizioni delle libertà civili vanno di pari passo con l’aumento del populismo di destra e lo sciovinismo anti-immigrati. Il dibattito parlamentare di venerdì scorso è stata dominato da figure di Forza Italia di Berlusconi, della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo; attaccando il governo da destra, hanno richiesto la formazione più rapida e decisa di uno stato di polizia e una lotta intensificata contro l’immigrazione incontrollata.

Paolo Grimoldi della Lega Nord ha criticato come, da un lato, i sospetti di terrorismo dovevano avere i loro passaporti confiscati, mentre, dall’altro, le navi della marina vengono inviate a portare in Italia migliaia di persone che nemmeno hanno un passaporto. Questo rappresenta un invito aperto a lasciare i migranti ad annegare nel Mediterraneo.

Alcuni membri del movimento di Grillo hanno anche dichiarato in parlamento che le misure del governo sono insufficienti, e hanno chiesto un aumento del budget per la sicurezza.

Roberto Calderoli della Lega Nord ha adottato la richiesta del francese Front National di reintrodurre la pena di morte, che l’Italia ha abolito nel 1947; è stato sostenuto dal ministro degli interni. Alfano ha dichiarato, “per chi vuole fare questi attentati deve essere chiaro che la morte è una prospettiva concreta”.

La campagna di destra non è solo promossa dai politici di estrema destra e dai populisti, ma anche dai media che precedentemente erano visti come parte del centro-sinistra. Un buon esempio di questo sono stati i commenti del Corriere della Sera, che ricordano i sentimenti anti-islamici di Pegida in Germania.

Sotto il titolo “Il buonismo che ci acceca, ” Piero Ostellino si è lamentato sul Corriere dell’ignoranza della sinistra, dichiarando che essa ha fallito nel capire “che l’Islam è ancora immerso nel Medioevo, ed è soprattutto incapace di uscirne”.

Ostellino ha poi scritto: “Che piaccia o no al buonismo, siamo diversi... Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto, e praticato da alcuni secoli — a differenza di loro che sono, e vogliono restare, una teocrazia—la separazione della religione dalla politica. (...) ci vorrebbero colonizzare e dominare, attraverso quel ‘cavallo di Troia’ che è l’immigrazione e che noi stessi incoraggiamo”.

In un altro articolo nel Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia ha chiesto il diritto di criticare l’Islam con la seguente giustificazione: “Esso resta come un macigno a dispetto di ogni buona volontà e di ogni discorso edificante. Ed è precisamente il problema dell’Islam.” Per lui si tratta di “un insieme di religione, di cultura e storia, riguardante in totale circa un miliardo e mezzo di esseri umani, dove nel complesso (nel complesso, perché vi sono anche le eccezioni e sarebbe da stupidi ignorarle) vigono regole diverse e - questo è il punto decisivo - perlopiù incompatibili con quelle che vigono in quasi tutte le altre parti del mondo”.

Queste diatribe di destra sono strettamente connesse con la profonda crisi economica e sociale in Italia, e hanno lo scopo di convogliare la crescente opposizione alla disoccupazione e al calo del tenore di vita verso canali razzisti di destra.

Le proteste contro gli attacchi alla socialità del governo Renzi di recente sono fortemente aumentate; ad esempio: giovedì, prima di partire per Parigi, Renzi è stato raggiunto da due manifestazioni di forte protesta nel corso di un paio d’ore, durante una visita a Bologna; hanno manifestato in centinaia di fronte all’Università di Bologna per lavori che offrano un salario dignitoso, mentre nella fabbrica Granarolo, sempre durante la sua visita, i dipendenti hanno lanciato uno sciopero di due ore in segno di protesta per la sua riforma del lavoro Jobs Act.

Proteste simili avvengono praticamente ogni giorno. Il motivo è il crescente disagio economico della popolazione attiva, che colpisce soprattutto i giovani e li priva di ogni prospettiva. Secondo le statistiche ufficiali, il 44 per cento dei giovani tra i 15 e i 24, vale a dire quasi uno sì uno no, è senza lavoro.

Da quando Renzi ha assunto il governo, le associazioni dei datori di lavoro hanno chiesto una implementazione molto più rapida delle riforme economiche, nell’interesse delle grandi imprese. Renzi sta utilizzando l’attacco di Parigi per integrare un intero strato di ex politici e giornalisti di sinistra e radicali, nelle politiche di destra del governo.

Un esempio è Paolo Gentiloni, il ministro degli Esteri: egli ha assunto questa posizione solo un paio di settimane fa, succedendo a Federica Mogherini che è diventata il successore di Catherine Ashton all’UE. Gentiloni ha iniziato la sua carriera politica come membro dell’organizzazione radicale di sinistra Democrazia Proletaria, che in seguito divenne una parte di Rifondazione Comunista; poi, intorno al 2001, entrò a far parte della borghese cattolica “La Margherita” di Renzi.

Questo partito, nel 2007, si fuse al successore del PCI, Sinistra Democratica, per formare il PD. Nella fazione Margherita, che ha determinato la politica all’interno del PD per un certo tempo, Gentiloni era un seguace chiave di Renzi.

Giovedì, dopo l’attacco di Parigi, Gentiloni ha detto che “bisogna intervenire con forza contro il Daesh, il cosiddeto Califfato dello Stato islamico”, perché “il terrorismo è diventato uno Stato tra Siria e Iraq. Il non interventismo non risolve i nostri problemi”. Nella stessa intervista, Gentiloni si è vantato che da un certo tempo soldati italiani sono presenti in Medio Oriente, sebbene senza un loro mandato a combattere, ma per aiutare i curdi “in mille modi”.