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I referendum sull’autonomia nel Nord Italia

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 23 ottobre 2017

Domenica scorsa si sono tenuti in Veneto e Lombardia i referendum sull’autonomia, promossi dai separatisti Lega Nord. Ai cittadini si chiedeva di conferire ai Presidenti regionali il potere di intavolare trattative col governo circa l’autonomia di queste Regioni.

In Lombardia Roberto Maroni e in Veneto Luca Zaia, entrambi della Lega Nord, sono i rispettivi presidenti di due delle Regioni più ricche in Italia. La Lega Nord promette ai suoi sostenitori che, in condizione di maggior autonomia, le due Regioni avranno il potere di controllare il flusso delle tasse, senza doverle trasferire in toto al governo centrale di Roma (soprannominata dai leghisti Roma ladrona).

Domenica, in tarda serata, basandosi su risultati preliminari, Moroni e Zaia già cantavano vittoria. Più del 90 per cento dei votanti avrebbero sostenuto l’autonomia. Moroni ha dichiarato che le due Regioni potrebbero unire le forze per ”la battaglia del secolo”.

L’autonomia richiesta tocca 23 punti, secondo i quali le Regioni potrebbero controllare i propri affari. Essi includono: sicurezza interna e immigrazione, scienze e ricerca, educazione, politiche dell’ambiente e, importantissimo, introiti dalle tasse e relazioni economiche con le borse mondiali. Moroni ha detto al Financial Times “Se io disponessi anche solo di metà delle tasse che mandiamo al Sud, potrei risolvere tutti i problemi della Lombardia”.

Con un occhio sull’amaro conflitto scoppiato in Spagna a proposito dell’autonomia catalana, questi commenti sono un tentativo di fuorviare il pubblico italiano ed europeo. In Italia non si tratta assolutamente di votare per la separazione delle Regioni dallo Stato, così dicono; il referendum sarebbe puramente una consultazione, non sarebbe vincolante e, sopratutto, è in conformità alla costituzione italiana.

Tuttavia il risultato di questo referendum ha implicazioni serie, sia per l’Italia, che per l’Europa. La Lega Nord sta cercando di mobilitare la piccola borghesia, che sta soffrendo per la crisi; ma questo va ben oltre un tentativo separatista regionale e vuole costituire, alla fin fine, una drastica svolta a destra nel Paese. Maroni, che è stato Ministro per governi Berlusconi in più occasioni, ha sottolineato in un’intervista col New York Times: “Più gente vota, maggior potere contrattuale ho”.

La Lega Nord, negli ultimi quattro anni, sotto la guida di Matteo Salvini si è trasformata da Partito regionale a Partito nazionale. Il partito ha rinunciato alla richiesta originale di una Padania indipendente e oggi ha un programma di estrema destra, antieuropeo e razzista, sulla falsariga del Front National di Marine Le Pen in Francia. E la cosa continua, anche se, dopo la sconfitta della Le Pen alle elezioni presidenziali in Francia, Salvini ha dichiarato: “Noi non siamo Le Penisti”.

Salvini spera in una vittoria alle prossime elezioni parlamentari, che dovrebbero tenersi nel Maggio 2018. Per raggiungere lo scopo è disposto ad acconsentire ad una serie di concessioni.

Nelle ultime elezioni municipali (Luglio scorso) la Lega Nord si era alleata a Berlusconi e alla neo-fascista Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e così facendo ha approfittato al massimi del collasso del PD.

Tuttavia Fratelli d’Italia chiede uno Stato forte, autoritario e centralizzato ed è stato il solo partito opposto al referendum in Lombardia e Veneto; per la Meloni i voti al referendum sarebbero stati “un insulto alla Patria”.

Salvini aveva preso in considerazione tutto questo e aveva rimandato il referendum. Il tutto è diventato chiaro quando il destrorso Süd-Tiroler Freiheit (Libertà Sud Tirolese) ha celebrato il risultato del referendum catalano con una dimostrazione al Brennero, usando lo slogan: ”Oggi Catalunya-Domani Süd-Tyrol”. La Lega Nord non ha avuto nulla a che fare con quella dimostrazione, per la Lega è molto più importante il traguardo di essere al governo, a Roma.

La nuova legge elettorale “Rosatellum 2.0”

La nuova legge elettorale, approvata dalla Camera dei deputati il 12 ottobre e denominata “Rosatellum 2.0” (dal leader parlamentare PD Ettore Rosato), arriva proprio al momento giusto per la speranza di potere di Salvini. La legge deve ancora essere approvata dal Senato e firmata dal presidente Sergio Mattarella. Dal momento del fallimento della riforma costituzionale dell’ex primo ministro Matteo Renzi il 4 dicembre 2016, l’Italia non ha avuto una legge elettorale valida.

La legge combina elementi di sistemi proporzionali e cosiddetti first-past-the-post, ossia il candidato che riceve più voti viene eletto e tutti gli altri cadono via, non ha importanza il partito di appartenenza. La legge consente anche, esplicitamente, la combinazione di liste di partito. È posto un ostacolo del 3 per cento per la rappresentanza parlamentare, che aumenta al 10 per cento per le coalizioni di liste di partito, sebbene in realtà l’ostacolo per ciascuna parte in tali alleanze sarà solo l’1 per cento. Il tutto rende molto più vantaggioso concludere alleanze fra vari partiti.

La legge riconosce il fatto che, in Italia, nessun partito è in grado di mobilitare più di un quarto degli elettori. Un sondaggio del 16 ottobre ha indicato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo quale partito più grande: esso avrebbe assicurato il 27, 6 per cento dei voti, davati al PD di governo che avrebbe il 26, 3 per cento dei voti.

La nuova legge elettorale è fatta su misura per l’alleanza della destra, che si assicurerebbe quasi il 34 per cento dei voti (Lega Nord 14, 6 per cento, Forza Italia 14, 2 per cento e Fratelli d’Italia il 5 per cento). Se le elezioni si svolgessero oggi, l’alleanza della destra vincerebbe.

Il M5S, pur risultando il partito più forte, non trarrebbe nessun vantaggio dal suo 27.6 per cento come partito più forte. Un bonus di posti per il partito più grande, che era contenuta in una prima bozza della legge, è stato rimosso dalla normativa. Questa è la ragione per la quale il M5S ha protestato con forza contro la legge elettorale e ha votato contro di essa; adesso chiede al Presidente di non firmare la legge stessa.

Il declino dei Democratici

L’ascesa della destra è al tempo stesso l’espressione e il risultato della disgregazione politica dei partiti emersi dal Partito Comunista, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Questo vale soprattutto per il PD, ma anche per Rifondazione, la Sinistra Arcobaleno, le alleanze intorno a Nichi Vendola (ex leader di Rifondazione e presidente della Puglia per 10 anni) e diversi dirigenti sindacali.

Nel corso degli ultimi 25 anni, queste forze politiche hanno costantemente sostenuto il campo conosciuto come il “centro sinistra”, che si è alternato al potere con il gangster capitalista Berlusconi e ha perseguito gli interessi delle banche italiane e delle grandi aziende contro la classe lavoratrice.

La nuova legge elettorale è la misura di quanto poco le norme democratiche esistano ancora in Italia. Un governo che venisse al potere in base a questa legge non avrebbe praticamente alcuna legittimità democratica. Sebbene la nuova legge elettorale favorisca le alleanze, queste non sono vincolanti. Dopo le elezioni, il partito più forte della lista che vince le elezioni può entrare in una coalizione con un partito completamente diverso. Tutto è possibile, e gli elettori non hanno praticamente più voce in capitolo sulla formazione del governo.

Gli ultimi due primi ministri (Renzi e Paolo Gentiloni, entrambi PD) sono saliti al potere senza un’elezione. Hanno perseguito le politiche di interesse delle grandi imprese e dell’Unione Europea, e hanno calpestato le richieste popolari sotto i piedi.

Sia Renzi che Gentiloni hanno lanciato nuovi attacchi ai diritti dei lavoratori, inclusa l’introduzione della ‘Jobs Act’, contro i lavoratori della Fiat come pure l’attuale distruzione di Alitalia, dove vengono eliminati 6.000 su 11.000 posti di lavoro.

Allo stesso tempo, i politici al potere continuano a trasferire ingenti somme alle banche indebitate. Essi sono andati avanti con i piani per la guerra in Libia, e il ministro dell’Interno Marco Minniti (PD), insieme a Federica Mogherini dell’UE (PD), porta avanti la brutale politica della “fortezza Europa” nei confronti dei rifugiati nel Mediterraneo.

Di conseguenza, il PD sta vivendo una crisi sempre più profonda. Ha perso ampi strati della sua base nei sindacati e Comuni, in particolare dopo la sconfitta del referendum di dicembre 2016. Lo scorso febbraio, diverse fazioni hanno lasciato il partito, con un gruppo che si unisce al nuovo partito di Vendola Sinistra Italiana. Poco dopo anche la fazione raccoltasi intorno a Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema si scindeva dal PD e ha fondato un nuovo partito: “Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista” (MDP). Un altro gruppo di membri scontenti del PD si sono allineati con l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Quasi tutti gli ex-stalinisti più prominenti ormai hanno lasciato il PD.

Cinque anni fa, fu la delusione degli elettori verso i partiti al potere che inizialmente portò alla crescita del M5S. Il partito della ex comico Grillo, che incessantemente si scagliava contro “i politici corrotti”, ha goduto di un’ascesa senza precedenti e ha beneficiato dell’insoddisfazione dilagante. In realtà il M5S ha cercato, con le sue politiche nazionaliste, di mobilitare le sezioni frustrate della classe media contro lavoratori impoveriti e i rifugiati. Nel contenuto, il M5S condivide molte posizioni della Lega Nord. Non appena il partito di Grillo è stato costretto ad assumere responsabilità di governo, assicurandosi le posizioni di sindaco a Roma e Torino, è diventato ben chiaro che il M5S non è meno corrotto degli altri partiti.

Il divario tra politica ufficiale e popolazione continua a crescere, basti guardare il numero di persone che stanno emigrando. Un rapporto pubblicato il 17 ottobre ha rivelato che 124.000 persone hanno lasciato l’Italia nel 2016, con un aumento del 15 per cento rispetto all’anno precedente. Quasi il 40 per cento degli emigranti sono giovani di età compresa tra 18 e 34 anni.

Questi sviluppi stanno creando un enorme vuoto politico, mentre la rabbia sociale è in crescita.

La classe operaia e i giovani si trovano confrontati ad un attacco dopo l’altro. Contemporaneamente, tutti i partiti, compresa la pseudo-sinistra intorno alla Sinistra Italiana e le organizzazioni sindacali, vanno avanti con un programma nazionalista che rafforza la classe dirigente. Il paese diventa sempre più una polveriera sociale.